Cronaca

L’INGRANDIMENTO: IL PADRINO NEL PAESE DELL’OMERTÀ

di Rita Cavallaro -


È ora di mettersi nei panni di un intero paese, Campobello, criminalizzato perché è lì che si nascondeva il ricercato numero uno.
Nei panni dei suoi abitanti, additati come collusi solo perché non hanno avuto la fortuna di nascere a Rovigo, a Trieste, a Honolulu. La colpa dei campobellesi è quella di essere venuti alla luce nel profondo sud, terzomondo d’Italia da quando l’Africa è stata declassata al quarto.
Di essere cresciuti a pane e omertà, finché quel companatico è diventato la normalità. Soprattutto perché a metterlo in tavola non è certo lo Stato, ma la Famiglia, che come dà tanto prende. Non è un paese ad avere le responsabilità, ma il Paese, lontano dalla gente e incapace di dare risposte. C’è poco da stupirsi se inconsciamente ignari concittadini rispondono sulle nefandezze del boss.
“È stato lui? Voi lo dite”.
C’è reverenza, senza dubbio. C’è l’indifferenza di chi si fa i fatti suoi e campa cent’anni. Ma c’è pure scetticismo, perché in molti, con certa gente, ci sono cresciuti e li ricordano magari come compagni di banco con cui rimorchiare ragazze. Un po’ teste calde sì, ma da qui a ordinare le stragi ne passa. E tanto più chi crede nella pericolosità tace, perché fare il paladino della giustizia, in un Paese dove la giustizia non c’è, è una condanna a morte. Mica la Sicilia è Csi, che se denunci arriva l’Fbi e ti mette sotto protezione, con una vita nuova, una casa e un’altra identità. Lo Stato non c’è:
è questa la sensazione che prova chi vive in quella realtà. E denunciare vuol dire restare da solo, dover andare via sperando che non ti trovino. E non tornare più. Perché la mafia non dimentica.

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