L’intelligenza artificiale e quella umana dell’etica
Lo strumento in sé non è né cattivo né buono, la differenza la fa l’uso che se ne fa. Sì, è vero, ma questa massima oggi non si può applicare a una realtà come l’intelligenza artificiale, che è molto di più di uno strumento come lo abbiamo inteso per secoli. Ecco perché il Papa nel suo intervento alla Conferenza internazionale sulla dignità dei minori nell’era dell’Ia ha lanciato un appello che va ben oltre i confini del Vaticano: educare all’uso consapevole della tecnologia è oggi una responsabilità collettiva.
L’Ia, ha ricordato, può essere alleata o minaccia, a seconda della direzione che le diamo. Non uno strumento, dunque, ma un utilizzo artificiale di innumerevoli strumenti. Mentre algoritmi e piattaforme chatbot (prive di una dimensione etica, ricordiamolo) influenzano gusti e decisioni dei più giovani, Leone XIV richiama il dovere di adulti, educatori e istituzioni di non abdicare al proprio ruolo.
Servono leggi aggiornate e paletti etici, ma soprattutto un’educazione digitale quotidiana, fatta di ascolto, dialogo e presenza. L’innovazione non può sostituire l’esperienza umana, né l’algoritmo può farsi educatore. È nel rapporto tra generazioni che si costruisce la vera cultura del digitale: non quella del consumo rapido e pedissequo, ma della responsabilità condivisa. Un impegno che, come ha sottolineato il Pontefice, “salvaguarda l’originalità umana e la connessione tra le persone”. Sì all’intelligenza artificiale dunque, ma a patto che non sia una minaccia per la crescita dei bambini. Altrimenti la partita genitori-nativi digitali è persa in partenza.
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