Politica

L’INTERVISTA – Wanda Ferro: “La sicurezza si costruisce con lo Stato, i territori e la rigenerazione sociale”

di Cinzia Rolli -


“È necessaria una strategia integrata e coordinata tra istituzioni centrali, enti locali e territorio, come stiamo facendo attraverso il ‘modello Caivano’, con cui non ci siamo limitati a rafforzare la presenza dello Stato, ma affrontando il problema in maniera sistemica”. A dirlo a L’identità Wanda Ferro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno, illustrando le priorità del suo mandato: sicurezza, legalità e una presenza concreta dello Stato nei territori più complessi.

Quali difficoltà avete affrontato nell’adeguare il dispositivo di sicurezza per il Giubileo ai funerali del Papa?
“Dai funerali di Papa Francesco all’elezione di Leone XIV e alla solenne messa di inizio pontificato, abbiamo affrontato una straordinaria sfida sotto il profilo della sicurezza. L’improvviso mutamento del contesto ha richiesto un rapido e significativo adeguamento del dispositivo già predisposto per il Giubileo, per fronteggiare l’arrivo di centinaia di delegazioni istituzionali da ogni parte del mondo, oltre che per gestire l’afflusso imponente di fedeli nella Capitale. Pur in assenza di minacce specifiche, è stato necessario innalzare i livelli di attenzione e introdurre ogni misura utile a prevenire e affrontare ogni rischio, anche in considerazione delle crescenti minacce di natura tecnologica e ibrida. Il lavoro svolto rappresenta una prova esemplare di organizzazione e coordinamento interforze, ormai riconosciuto come “modello Roma”. È doveroso esprimere un sentito ringraziamento alle strutture del Ministero dell’Interno, alle Forze dell’Ordine, alle Forze Armate, alla Protezione Civile, ai volontari, agli operatori sanitari e a tutti coloro che hanno contribuito a garantire una cornice di massima sicurezza allo svolgimento di eventi che hanno posto l’Italia al centro dell’attenzione del mondo”.

Dopo la direttiva “zone rosse” nelle aree urbane più a rischio, quali sono stati i risultati a livello di percezione di sicurezza da parte di cittadini?
“Il ricorso alle zone rosse rientra nella più ampia strategia del governo che punta a garantire la tutela della sicurezza urbana e la piena fruibilità degli spazi pubblici. È un metodo di intervento utile in tutti i luoghi nevralgici e ad alta frequentazione e in contesti caratterizzati da fenomeni di criminalità diffusa e situazioni di degrado, come le stazioni ferroviarie o le “piazze dello spaccio”, dove vengono anche condotte operazioni interforze ad alto impatto. Dall’istituzione delle zone rosse, con gli interventi delle Forze dell’Ordine, sono state controllate circa 500mila persone, quasi 4mila i soggetti allontanati, di cui il 75% sono cittadini stranieri. Questo tipo di intervento si inserisce in una visione più complessiva volta ad accrescere tanto la sicurezza reale quanto quella percepita, nella consapevolezza che non basta la repressione delle condotte illecite: la sicurezza urbana si realizza anche attraverso la rigenerazione degli spazi, il contrasto alle marginalità e la sinergia tra istituzioni, enti locali e cittadini”.

Quali criticità sono emerse dal monitoraggio eseguito tramite l’Osservatorio sulle periferie?
“È stata innanzitutto rilevata la necessità di definire in modo univoco il concetto di “periferia”, oggi intesa non più soltanto come collocazione geografica marginale, ma come condizione di esclusione sociale, caratterizzata da degrado urbano, marginalità economica, disuguaglianza nell’accesso ai servizi, dispersione scolastica e vulnerabilità sociale. È stata evidenziata un’elevata frammentazione degli interventi, spesso scollegati tra loro. Emerge pertanto la necessità di una strategia integrata e coordinata tra istituzioni, enti locali e realtà del territorio, come stiamo facendo attraverso il “modello Caivano”, con il quale non ci siamo limitati a rafforzare la presenza dello Stato con più pattuglie o più telecamere – anche se questo è stato importante – ma affrontando il problema in maniera sistemica, riconoscendo che il disagio giovanile, la criminalità minorile, la povertà educativa sono fenomeni che richiedono risposte complesse, dal contrasto alla dispersione scolastica al rafforzamento dei servizi sociali, dall’assunzione di educatori alla riqualificazione degli spazi, agli investimenti nella scuola, nella cultura, negli impianti sportivi”.

Intestare un giardino a Sergio Ramelli, studente di Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da appartenenti ad Avanguardia Operaia, che impatto può avere sui giovani che si affacciano alla vita politica?
“Intitolare un giardino pubblico a Sergio Ramelli è un atto di memoria, di verità e un messaggio potente per le nuove generazioni. Ricordare la sua vicenda significa far luce su una pagina dolorosa e troppo a lungo rimossa della nostra storia nazionale, segnata da odio politico e violenza ideologica. Sergio non era un violento: fu assassinato per ciò che pensava, per ciò che scrisse in un tema scolastico. Per i giovani che si affacciano oggi alla vita politica mantenere la memoria di quella pagina dolorosa serve a ricordare che la politica è confronto, è passione, ma non può mai essere odio. Che la democrazia si difende con le idee, non con le spranghe o con la censura. L’impatto è quello di aiutare i ragazzi a comprendere quanto può costare l’odio ideologico e quanto sia preziosa e non scontata la libertà di espressione”.

Come funziona il rimpatrio degli stranieri clandestini quando vengono utilizzati i mezzi delle Forze Armate?
“Nella prima fase di attuazione del Protocollo Italia-Albania, le strutture di Shengjin e Gjader sono state utilizzate per svolgere procedure accelerate di frontiera, riservate a migranti maschi adulti, non vulnerabili, provenienti da Paesi sicuri. I trasferimenti via mare sono stati effettuati con mezzi della Marina Militare, con personale medico a bordo e con il supporto dell’OIM per la mediazione. Tutto è avvenuto secondo procedure operative standard, definite e condivise con tutte le amministrazioni competenti. Tali procedure sono state rese pubbliche a testimonianza della piena trasparenza dell’azione svolta. Nella seconda fase la struttura di Gjader è stata impiegata come Cpr nazionale, senza necessità di modifiche al Protocollo, che già prevede questa possibilità. Al 21 maggio sono stati effettuati tre trasferimenti via mare, per un totale di 83 migranti, con scorte della Polizia di Stato proporzionate al rischio e con assistenza sanitaria sempre garantita, sia su navi della Marina Militare che su unità della Capitaneria di Porto”.


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