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L’Italia alla corsa del chip: “Ecco 4,75 miliardi”

di Giovanni Vasso -

Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso al Mimit durante la presentazione del logo 'Aggiungi un posto a tavola che c'è un bambino in piu' ', Roma, 1 Febbraio 2024. ANSA/GIUSEPPE LAMI


L’Italia è pronta a investire poco meno di cinque miliardi per i chip. E se Intel sembra sfumare ogni giorno che passa, il nuovo punto focale della strategia italiana per l’hi-tech digitale diventa la Sicilia. Intanto il mondo si muove e la “costruzione” di una vera e propria cortina di silicio che dividerà Stati Uniti e Occidente alla Cina sembra ormai una prospettiva inesorabile. Il ministro all’industria e al Made in Italy, Adolfo Urso, ha spiegato quali sono i piani del governo per incentivare la produzione di semiconduttori e per garantire al Paese, se non l’autosufficienza (obiettivo a dir poco irrealizzabile almeno al momento) quantomeno una base per non perdere il trend globale. In prima battuta, c’è il capitolo legato alla collaborazione con Intel. Giusto un anno fa, di questi tempi, si parlava della possibilità di fabbricare, materialmente, i chip nel Nord Italia. Ma quelle voci non si sono rivelate così lusinghiere quanto sembravano. E, col passare dei mesi, il grande piano di investimento in Europa di Intel è andato scemando. Per una ragione precisa che risponde a un acronimo che abbiamo imparato a conoscere: l’Ira di Biden, ossia il programma di reshoring proposto dagli Stati Uniti alle aziende Usa e occidentali. Ma Intel non s’è completamente disimpegnata dall’Europa. Però ha deciso di investire forte in Germania che, sul piatto, ha messo ingenti risorse pubbliche. Un po’ come Berlino aveva già fatto con Tesla convincendo Elon Musk a restare e ad ampliare la produzione. Che però, appena un mese fa, ha subito un brusco stop a causa dei problemi delle forniture causati dal caos legato alla navigazione nel Mar Rosso. Ma questa è un’altra storia.

Per l’Italia, più che la produzione fisica dei chip s’è parlato di un grande stabilimento per il packaging dei semiconduttori. Che dovrebbe sorgere, giocoforza, in Veneto dal momento che il Nord Est è diventato il percorso obbligato tra Italia e Germania. Fatto, questo, testimoniato anche dallo sviluppo repentino del “nuovo” triangolo industriale italiano: Milano, infatti, dialoga di più con Verona e Bologna rispetto a quanto faccia ancora con Torino e Genova. L’Italia, nonostante la mezza delusione, non cede e tenta di rafforzare il rapporto con la stessa Intel. E il ministro Adolfo Urso ha confermato l’investimento, a Pavia, per una fondazione del chip “alla quale hanno deciso di partecipare multinazionali tra cui Intel”.

Ma sarà la Sicilia il cuore pulsante della strategia italiana verso l’innovazione. “Siamo riusciti a creare un quarto progetto accolto dalla Commissione Ue, che avrà come location principale sarà Catania, nel polo tecnologico che vede impegnata Stm”, ha spiegato il ministro Adolfo Urso. “Siamo fiduciosi della sua approvazione”. Per la transizione, ha spiegato il titolare del dicastero del Mimit, “fra 6,4 miliardi destinati dalla manovra e altri 6,3 arrivati dalla ricollocazione delle risorse europee è pronto un piano Transizione 5.0 che a breve arriverà in consiglio dei ministri con una dotazione di 12,7 miliardi: se a questi aggiungiamo i fondi alle Pmi per l’efficientamento energetico superiamo i 13 miliardi”. Mica bruscolini. Ma non è tutto. Perché, per quanto riguarda specificamente il discorso legato alla microelettronica e ai chip, il governo italiano è intenzionato a mettere sul piatto 4,75 miliardi. Non sono pochi. Ma nemmeno troppi se si considera, per esempio, che un gigante del settore come N-vidia, sta pensando a un nuovo piano industriale da 30 mld di dollari. O se si tiene presente che in Giappone, la taiwanese Tmsc s’è alleata con Toyota e Sony per un progetto industriale da quasi 20 miliardi di dollari. Ciò mentre la Cina, che controlla alcune delle filiere base per le terre rare, sta tentando, come riporta Wired Italia, di aggirare il ban tecnologico imposto dagli Usa “riciclando” le vecchie schede e gli apparati da gaming per procurarsi chip da utilizzare per lo sviluppo, tra le altre cose, dell’intelligenza artificiale. Già, perché la corsa all’hitech, è duplice così come lo sono i computer: senza hardware non c’è software e senza programmi adatti è inutile produrre pezzi di precisione.


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