Economia

“L’Italia può salvarsi davvero se si rimette in moto il Sud” Giannola (Svimez): “L’autonomia di Calderoli? Aumenta solo le differenze”

di Giovanni Vasso -

ADRIANO GIANNOLA SVIMEZ


Più che una riforma, la cristallizzazione di un privilegio. L’autonomia differenziata, più che un’assunzione di responsabilità da parte delle Regioni, sarebbe il tentativo di farsi Stato senza gli oneri che ne derivano. Adriano Giannola, presidente Svimez, non è per nulla entusiasta del ddl Calderoli e ricorda, a tutti, che nessuno si salva da solo. E senza il Sud, tutta l’Italia resterà ferma.
Presidente Giannola, come le è parsa la proposta del ministro Valditara sull’adeguamento degli stipendi per gli insegnanti del Nord?
“Estemporanea. Rientra in un tipo di logica vecchia, legata al discorso dell’autonomia differenziata. Una logica che ha a che fare con la pretesa di avere le competenze sulla scuola. La prima cosa che farebbero, se le avessero, sarebbe di gestire in forma autonoma il personale e immagino con questo tipo di approccio. Il ministro, correggendosi, ha detto che avrebbe voluto aumentarli perché in alcune zone d’Italia la vita è più cara. Come se al Sud, senza ospedali, senza scuole e senza infrastrutture, la vita fosse meno cara…”.
Che strategia c’è nell’autonomia differenziata?
“Quella, da parte delle Regioni, di farsi Stato senza essere gravate dagli oneri derivanti dall’esserlo. In pratica si “rimane” Regioni pur ottenendo le prerogative dello Stato. E una delle prerogative che si vogliono dare è quella di riconoscere diritti solo ai propri cittadini, poi si vede per gli altri, al limite si promette di donare qualcosa ai poveri del Sud. Senza rendersi conto che la fiscalità generale è molto semplice: pago le tasse in base al reddito, ricevo i servizi in base agli standard nazionali. Questo è il concetto di federalismo fiscale”.
A questo proposito, tra spesa storica e Lep, a che punto siamo?
“I Lep sono un’illusione. Saranno definiti addirittura tramite dpcm. Secondo Calderoli il parlamento non dovrebbe avere voce in capitolo, se non per qualche parere di qualche commissione che non sia vincolante. Siamo al ridicolo. E una volta definiti, comunque non saranno finanziati. Se facciamo i Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni, uguali per tutti, e andiamo a vedere la spesa storica, che invece designa le prestazioni reali, non uguali per tutti, perché basate su concetti che sono contrari alla costituzione ma provvisori, vedremo che dovremmo spendere quattro volte di più rispetto a quello che spendiamo adesso per garantire chi non ha questi diritti uguali per tutti. Ovviamente insostenibile. Occorrerebbe pensare ai livelli uniformi di prestazione, non essenziali”.
Perché?
“Il giochetto sta nel ritenere che chi spende di più ha bisogno di quella spesa, mentre chi spende di meno non ne ha bisogno. Quindi l’essenziale per la Calabria è diverso da quello per la Lombardia. Sarebbe formalizzare a livello costituzionale la spesa storica, in pratica quello che si pensava sinora garantisse un privilegio e lo si farebbe senza pagare pegno. Siamo fuori dalla costituzione da vent’anni, dal 2001, e siamo fuori dalla legge che lo stesso Calderoli ha voluto per l’attuazione dell’articolo 119 nel 2009 e che non è mai stata applicata, dove si prevedevano proprio dei fondi e senza vincolo di destinazione, per fare la perequazione. Calderoli quando dice che si devono fare i Lep entro un anno o si va avanti con una spesa storica, fissata con accordo tra Stato e Regioni. senza rendersene conto, sta dicendo una castroneria. Non tiene conto del fatto che, secondo sempre Calderoli, quelle intese sono irreversibili. È un modo molto sgrammaticato cioè di pretendere il privilegio e di conservarlo. Con la paura, perché di questo si tratta, che un’applicazione del superamento della spesa storica nell’unico criterio possibile cioè nei livelli uniformi su tutto il Paese crea un problema di finanza pubblica enorme. O c’è un accordo, per fare in dieci anni questa cosa scommettendo sulla crescita dell’economia, cosa che tutt’altro che garantita, oppure si spacca il paese”.
Siamo al “si salvi chi può”?
“Da soli non ci si salva. La Lombardia sta perdendo terreno da vent’anni, esattamente come lo perde il Sud. L’unica alternativa è rimettere in moto il paese e lo si fa solo solo rimettendo in moto il Mezzogiorno. Tanto più che il centro dell’attenzione, nel futuro sarà il Mediterraneo. E non salviamo Genova e Trieste buttando a mare la Sicilia, la Campania e la Puglia e la loro rete di porti, fondamentale a garantirsi la vera rendita per l’Italia che si può estrarre come rappresentati Ue nel mare più strategico del mondo”.
Sarà il Pnrr l’occasione per rimettere in moto il Sud e l’Italia?
“Sarebbe. Sia questo governo che quello precedente hanno avuto la giusta petizione di principio ma di pratico quasi nulla. Scoprono adesso che il Sud non può spendere non perché sia cretino ma perché non ha strutture e se ne accorgono dopo due anni da quando gli è stato detto. Poi fanno i bandi competitivi sui diritti di cittadinanza. È illegale mettere in competizione i cittadini per le scuole, gli ospedali. Se i Comuni non sono in grado, tocca allo Stato garantire i diritti. È una fuga dalle responsabilità vecchia più di due anni, oggi viene al pettine. Siamo a metà del tempo concesso dal Pnrr. Ci vuole molta freddezza molta strategia molta capacità il governo dal centro, di processi che coinvolgano i territori e di questo non mi sembra che ci sia un segnali anzi segnali mi sembra esattamente al contrario”.


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