Editoriale

Lo sparo e la sparata

di Tommaso Cerno -


Lo sparo di Capodanno e la figuraccia del deputato di Fdi Emanuele Pozzolo che gli costerà la sospensione dal partito ha trafitto anche il silenzio dell’ipocrisia. Nel Paese del politicamente corretto, quello dove ci si indigna per ogni aggettivo che non sia inclusivo e rispettoso di qualunque orientamento, pensiero, caratteristica personale, ci ritroviamo ad avere un viceministro che, secondo l’autorevole Corriere della Sera, porta sfiga. Tiè. Occhio, malocchio, prezzemolo e… finocchio. Anzi, nel Paese dei bagni gender e dell’asterisco al posto delle vocali, finiremo per cavarcela con un più social prezzemolo e… lgbt. Che non si sa mai che qualcuno si offenda per quel finocchio. Capita infatti nell’Italia dei grandi proclami modernisti, del presepio transgender, delle accuse di body shaming per un accenno all’obesità di un grasso barra grassona (io per primo che sono reduce da una dieta perché ero grasso e non sovrappeso), che passi in cavalleria una delle peggiori pratiche di superstizione e gogna pubblica del nostro Paese: dare del menagramo al sottosegretario Andrea Delmastro e appiccicargli addosso la peste antropologica di essere un portasfiga. Peggio ancora se è fatto per scherzo, per distrazione, per sufficienza. Per il solo fatto di essere finito suo malgrado al centro delle cronache del pistolero biellese e compagno di partito Emanuele Pozzolo. Nientemeno che dalle colonne illuministe del Corsera, totem dell’equilibrio istituzionale nell’Italia dello scontro frontale su tutto, che ha rispolverato per noi questa stramaledetta parola: iella. Roba da toccare “o’ curniciello” di eduardiana memoria. Già, proprio quella dei film di serie B su cui si poggiano i guadagni truffaldini di maghi e cartomanti. Quella di Vanna Marchi e del maestro Do Nascimento. Quella di Franco Franchi e dell’Esorciccio Ingrassia. Ma soprattutto quella di Mia Martini e della sua tragica morte, senza il filtro della finzione nè la coperta del sarcasmo. Quella della maledizione di una delle più grandi artiste italiane che finì schiacciata da questa medesima, ignorante, perniciosa diceria. Quella che rovinò il suo rapporto con gli italiani e con la musica. Quella che la infilò in una solitudine patologica. E che le affrettò la morte. Quella che è caduta subdola dentro la sua esistenza, perché esistono i gabinetti no gender, ma non ancora i cessi che cancellano entrandoci l’onta di passare, nel Paese dei sussurri, per uno iettatore. Che brutta Italia quella che non si accorge che lo sparo più pericoloso dei due è proprio questo. Che Italia superficiale quella che classifica tutto ma poi si mostra per ciò che è ancora oggi, quella delle dicerie, del parlarti alle spalle, degli sguardi torvi e delle insinuazioni. No, Andrea Delmastro non porta iella. È un soggetto pubblico finito nell’occhio del ciclone di cronaca per delle leggerezze, come nel caso Cospito, o perché si trovava lì dove capitava un guaio, come nel caso del veglione con sparo di Rosazza a Capodanno. Risponderà di ciò che deve rispondere. Senza bisogno di corni rossi o spicchi d’aglio, senza finocchi nè gesti apotropaici al suo passaggio.
E mi sarebbe piaciuto sentir sbraitare la sinistra al gran completo contro questa gogna medievale, le Boldrini e le Schlein contro questa nuova stregoneria capace di sortilegi anti Meloni, i vari Crisanti contro la magia e il terrapiattismo che umiliano la scienza, nel nome di Piero Angela e di Enrico Berlinguer. E invece nemmeno una parola. La iella è progressista, inclusiva, gender free quando fa comodo.


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