Politica

LIBERALMENTE CORRETTO – Lo spoil system all’amatriciana

di Michele Gelardi -


L’atto del burocrate, per sua natura, si veste di imparzialità e neutralità, poiché il soggetto che lo emana non vi prende alcun interesse, né personale, né di parte, dovendo rispettare la par condicio civium. Al contrario, l’atto politico, per sua natura, è guidato dall’opinabile valutazione dell’opportunità storica di far prevalere determinati interessi a scapito di altri. Semplificando, possiamo mettere su un piano contrapposto i caratteri dell’uno e dell’altro, in relazione alla scelta operata nel quadro del bilanciamento degli interessi in gioco: opinabile ed elettivo l’atto politico, non opinabile e asettico l’atto burocratico. Ne deriva che l’atto politico può essere innovativo, perché persegue un interesse finalistico elettivo, mentre l’atto burocratico non può che essere ripetitivo, in quanto prefissato e non discrezionale. A ben considerare, tuttavia, la “neutralità” dell’atto burocratico è una chimera, perché il presunto disinteresse del burocrate non è vera assenza di interesse, bensì obbedienza a un bilanciamento predeterminato degli interessi in gioco. In ultima analisi, la vera differenza consiste nella possibilità di innovare: solo l’atto politico esprime una visione finalistica, che può giustificare il cambiamento; al contrario l’atto burocratico non consiste in una scelta dei fini, bensì nell’attività standardizzata, strumento di un fine predeterminato e immobilizzato. Ne consegue che la società in cui il potere burocratico sopravanza quello politico è necessariamente statica, imprigionata nel circolo vizioso degli atti amministrativi ripetitivi.
Ciò premesso, una delle possibili chiavi di lettura del lento e inesorabile declino italiano, cui certamente concorrono plurimi fattori, può individuarsi nel malsano rapporto politica-burocrazia. Il rapporto corretto postula la primazia della politica, cui compete la scelta dei fini, ai quali si subordinano i mezzi. Si tratta di un principio universale, declinato in modi diversi, ma comunque valido in tutti gli ordinamenti. In modo approssimativo e schematico, possiamo distinguerne due declinazioni. Laddove vige lo spoil system, il politico sceglie i collaboratori subordinati, a lui legati da un rapporto fiduciario, di tipo privatistico. Altrove, si ha la figura del burocrate professionale, il cui rapporto di lavoro di diritto pubblico è indipendente dalla fiducia dell’organo politico di vertice. Ma sempre e comunque, a prescindere dal rapporto di lavoro, gli atti che esprimono la volontà dell’ente sono emanati dall’organo politico. Non così in Italia, dove gli apparati amministrativi non obbediscono al comando politico. Al vertice della piramide gerarchica, siedono in posizione apparentemente paritaria due soggetti: il politico e il burocrate. Dei due, il vero capo è il burocrate, che ha il potere di emanare i provvedimenti amministrativi. Il politico si limita a “indirizzare”, ma gli manca perfino il potere di revocare l’atto del dirigente che abbia eventualmente frainteso il suo “indirizzo”. In questo quadro, si capisce che solo un rapporto fiduciario tra l’organo politico e il vertice burocratico può salvare l’apparenza esteriore del primato della politica. All’uopo è stato introdotto lo spoil system all’amatriciana, in base al quale l’organo politico sceglie i dirigenti generali e li omaggia di un lauto compenso, di diritto privato. L’omaggio indennizza il rischio di firma, assunto dal burocrate. Insomma, il morbo di Parkinson si è impadronito dell’Italia: i politici, affetti dal tremolio della mano, hanno nominato tanti sostituti di firma, ben remunerati e “indennizzati”; i burocrati, dal canto loro, hanno la mano ancor più tremula, non avendo alcuna competenza sulla scelta dei fini. Il burocrate aborre qualsivoglia innovazione, sostanziale o procedurale; in caso di estrema necessità, potrà vergare il suo preziosissimo autografo, solo quando sarà rassicurato da una lunga sfilza di pareri “tecnico-scientifici” e consulenze legali. Dunque, il nostro spoil system all’amatriciana, fondato sulla “rischiofobia”, non può che produrre immobilismo (ultimo esempio: ritardo nei lavori per il Giubileo).


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