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“Lo Stato aiuti le donne a non abortire”

Il Movimento per la Vita italiano commenta la relazione al Parlamento sull’applicazione della 194 che indica una diminuzione e lancia un appello

di Redazione -

Donna incinta - Image from Rawpixel


Calo degli aborti in Italia nel 2020: sono stati poco più di 66 mila, in diminuzione del 9,3 per cento rispetto all’anno precedente. È quanto si legge nella Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194/78 sull’aborto. La flessione si registra in tutte le aree geografiche e in ogni fascia d’età.

“La recentissima relazione del ministro della salute sull’attuazione della L. 194/1978 conferma l’andamento in diminuzione degli aborti e ne attribuisce in gran parte il merito all’aumento delle vendite dei c.d. ‘contraccettivi di emergenza’”, commenta in una nota il Movimento per la Vita italiano. “In realtà, le pillole post-coitali, come molte volte è stato detto, se il concepimento è avvenuto, impediscono all’uomo-embrione di annidarsi, causandone perciò la morte”, rileva.

Ad ogni modo, la diminuzione, secondo il MpVi, è da attribuire alla diffusa cultura della vita. Il Movimento denuncia che la modulistica per la relazione ministeriale è impostata come lo è adesso, cioè “solo in funzione degli aborti effettuati”. Di qui la proposta a una riformulazione della modulistica che preveda: “una raccolta dati sulle cause dell’aborto e sui percorsi per superarle, sulle iniziative per evitare che l’aborto sia considerato mezzo di controllo nascite, sulle alternative proposte, sulle collaborazioni con il volontariato, sugli speciali interventi effettuati dai consultori, sui bambini nati nonostante l’originaria inclinazione verso l’’interruzione di gravidanza’, sulle patologie dei nascituri che hanno portato all’aborto dopo i primi 90 giorni, sui casi di sopravvivenza dei bambini in caso di aborti tardivi, sulla collaborazione con i neonatologi, sulla diagnosi di malattia psichica della madre”.

Inoltre il MpVi “chiede che lo Stato offra la massima solidarietà – economica, abitativa, occupazionale – alle donne che si sentono costrette ad abortire, che i consultori siano limpidamente a servizio della vita nascente e che la società si mobiliti affinché la maternità sia riconosciuta come valore e ricchezza per tutti”. E ancora: “La vasta esperienza dei Centri di aiuto alla vita consente di affermare che il massimo fattore di prevenzione dell’aborto è il riconoscimento del figlio come uno di noi. Lo Stato che cosa ha fatto e cosa intende fare a livello culturale ed educativo in questo senso? È anche su questo che sarebbe costruttivo avviare un dialogo serio, senza pregiudizi e barricate”.


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