Economia

Lo stop alle auto a benzina e diesel. “L’Italia rischia 70 mila posti di lavoro”

di Domenico Pecile -


Soluzione talebana, soluzione folle, atto di prepotenza, inutile fuga in avanti, decisione improvvisa. Il coro di critiche nei confronti della decisione del Parlamento di Strasburgo che impone lo stop alla vendita di auto a benzina, diesel e Gpl dal 2035 è pressoché unanime. Critiche da mondo politico, con Salvini capofila, ma anche da quello economico – in primis quello piemontese – per le decine di migliaia di posti a rischio. Nel mirino è finita anche la posizione intransigente suggerita dal segretario nazionale uscente, Enrico Letta, al Pd. Insomma, Europa più che mai divisa sui tempi di messa in soffitta dei motori termici, nel mentre in America si suona tutt’altra musica. Dove, già da quest’anno, auto elettriche e a benzina potrebbero avere gli stessi prezzi (attualmente il prezzo medio della auto elettriche si aggira sul 61mila dollari contro i 49mila di quelle a benzina) in virtù di politiche di sostegno, degli aiuti statali e del ribasso delle materie prime. Obiettivi per ora impensabili nell’Ue anche perché – come spiega il rettore del Politecnico, Guido Saracco – in Italia, tra l’altro, non abbiamo le batterie in litio. Inoltre, secondo l’Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica, “la proposta di revisione del Regolamento europeo sulla riduzione delle emissioni di CO2 dei veicoli industriali (EU 2p019/1242) avanzata lo scorso 14 febbraio dalla Commissione europea inasprisce notevolmente il target già fissato al 2030 (da -30% a -45%) e prevede target decisamente ambiziosi per il 2035 (-65%) e per il 2040 (-90%) destando preoccupazione nella filiera produttiva del comparto”. Secondo l’Anfia infatti è difficile se non impossibile sviluppare in così pochi, appena sette anni in riferimento all’obiettivo del 2030, soluzioni tecnologiche in grado di dimezzare le emissioni di CO2 degli autocarri mezzi di lavoro che hanno caratteristiche tecniche diverse dalle autovetture e, soprattutto, una grande varietà di allestimenti e di emissioni. Ma l’Anfia mette anche in guardia sulle ripercussioni che avrebbe il servizio di trasporto pubblico: “Desta forte preoccupazione – si legge ancora nel comunicato – anche la scelta della Commissione europea di introdurre un obbligo di vendita per i costruttori di autobus urbani, a partire dal 2030, che potranno essere soltanto a zero emissioni”. Il dg di Anfia, Gianmarco Giordia, durante l’audizione in Commissione politiche Ue alla Camera, a sottolineato che gli 8,7 miliardi di euro del fondo automotive “non sono sufficienti per riconvertire la filiera. Seve un fondo di transizione gestito dall’Ue”. Anche perché lo stop a motori termici dal 2035 avrà un impatto sugli investimenti e quindi sulle imprese del comparto già nei prossimi 3-6 anni” e quindi i tempi per agire sono molto stretti. Insomma, un quadro pieno di incertezze che avrebbero un riverbero, giocoforza, anche sul fronte sociale. “Il settore Automotive – è infatti il parere, che è anche un grido di allarme, del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, a margine della cabina di regia per l’internazionalizzazione ieri alla Farnesina – è sottoposto a uno stress tale che rischia in Italia di compromettere la tenuta sociale e produttiva di mote aree del Paese”. La deputata azzurra, Chiara Tenerini, ha commentato che pur avendo a cuore le tematiche legate all’inquinamento “riteniamo che il nostro Paese non sia pronto ad affrontare un cambiamento così drastico ad una scadenza così ravvicinata”. Ha poi aggiunto che “il Governo deve mantenere una posizione ferma rispetto all’impossibilità di recepimento nei tempi previsti della normativa Ue sulle auto elettriche. L’indirizzo perentorio dell’Ue è inaccettabile”. Non va dimenticato al proposito che il comparto dell’automotive conta 93 miliardi di euro di fatturato e vale, da solo, il 5,6% del Pil italiano, dando lavoro a circa 250 mila addetti, il 7% dell’occupazione dell’intero settore manifatturiero. Il 56,7% dell’energia elettrica del nostro Paese viene prodotto da fonte non rinnovabile, facendo venire meno il principio cardine della tutela dell’ambiente. Proprio per questo, secondo l’esponente azzurra “è necessario un approccio graduale, trovando soluzioni alternative. Un adeguamento graduale deve partire dalla necessità di dotare le nostre strade delle infrastrutture necessarie al nuovo tipo di viabilità. Una legge del genere, inoltre, non potrà non creare una distorsione del mercato delle auto a tutto svantaggio dei cittadini meno abbienti”. Dunque, ha concluso la parlamentare di Forza Italia, “la prospettiva dei prossimi anni sarebbe quella di un mercato stagnante in attesa del passaggio all’elettrico, con i conseguenti danni economici, fino ad arrivare alla fase finale in cui i cittadini meno abbienti sarebbero penalizzati dall’impossibilità di investire in un nuovo mezzo”. Anche a parere del parlamentare leghista, Alberto Giusmeroli, l’Ue non ha voluto tenere conto del contesto economico in cui cade il provvedimento. “Il Carroccio – sono state le sue parole è contrario a date capestro calate dall’alto senza conoscere le varie realtà economiche dei territori. Piuttosto è necessario valutar piani che incentivino lo studio delle discipline Stem: in Italia soltanto il 12% degli occupati dell’automotive lavora nel comparto ricerca e sviluppo e tutto questo ci colloca molto indietro rispetto ai competitor asiatici che sono anche quelli più aggressivi commercialmente”.

Torna alle notizie in home