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Lo zar fa la voce grossa, ma il pallino è degli USA

di Alessio Gallicola -


Il lungo, lunghissimo, discorso tenuto ieri da Vladimir Putin al Forum di San Pietroburgo offre molteplici spunti. Il presidente russo ha spaziato in lungo e in largo, su molteplici temi: in qualche caso ha bluffato, come quando ha gonfiato i muscoli ricordando che la Russia ha i missili ipersonici più potenti del mondo, lasciando sottintendere che in caso di conflitto nucleare il suo paese avrebbe un potenziale balistico superiore alla NATO. In realtà, per ora nessuno è così sconsiderato da volere un conflitto nucleare, per cui, a meno che l’Alleanza Atlantica non intervenga direttamente in Ucraina o le città russe non vengano colpite troppo pesantemente dai missili, la situazione non dovrebbe degenerare, anche se più si prolunga il conflitto, maggiori sono le possibilità che si verifichi un incidente sconsiderato. In qualche altro caso ha fatto propaganda: sostenere che il suo paese uscirà più forte da questa crisi è un’affermazione tutta da verificare, considerando che uno sforzo prolungato potrebbe far implodere dall’interno, se non la Federazione Russa, quanto meno il suo potere, come avvenuto già nel 1917 e nel 1989 in altre circostanze storiche. Ha detto anche delle amare verità, se è vero, come è vero, che l’Europa pagherà nel prossimo futuro un conto salatissimo a causa delle regime sanzionatorio. Ma ciò che in questa sede ci preme evidenziare è un’osservazione apparentemente giusta pronunciata dallo Zar, inserita però in un’analisi di scenario che probabilmente è sbagliata. E’ vero, infatti, che al termine della guerra russo-ucraina nulla sarà più come prima. E’ vero che il mondo unipolare è finito ed attende di trovare una sua nuova forma ed un suo nuovo ordinamento. L’errore, però, sta, a nostro modesto avviso, nell’affermare che questa trasformazione avviene contro la volontà degli Stati Uniti che continuano a sentirsi “il centro del mondo”. L’impressione è che sia Washington, ormai, ad auspicare un mondo organizzato attraverso una logica multipolare. Da tempo gli USA soffrono il peso di essere la sola potenza egemone del pianeta, che li costringe da una parte a spendere cifre blu in armamenti, e dall’altra, attraverso lo status del dollaro di moneta di scambio mondiale, a fungere da compratori di ultima istanza globale sia sul versante dei mercati finanziari, sia sul fronte del commercio internazionale di beni e servizi. Il dollaro moneta di riferimento delle grandi transazioni commerciali è stato, sicuramente, uno dei fattori principali che ha contribuito alla supremazia americana. Ha consentito agli Stati Uniti di muoversi sul mercato delle materie prime in qualità di erogatori di valuta pregiata, soprattutto (ma non solo) nel settore delle energie fossili. Oggi, però, che, a differenza degli anni Settanta, gli USA hanno raggiunto l’autosufficienza energetica, il dollaro come moneta di scambio globale ha perso valore ai loro occhi. Di contro, la condizione di compratore di ultima istanza dell’intero pianeta in cui essi si trovano, li ha impoveriti dal punto di vista produttivo, attraverso le delocalizzazioni, facendo esplodere il debito pubblico, a tutto vantaggio della Cina. Se le cose stanno così, per Washington è sufficiente mantenere la supremazia sull’“Occidente allargato” e sull’Europa innanzitutto, cui toccherà pagare i costi del cambio di paradigma. Mentre a Putin toccherà fare i conti con Pechino.

Alessandro Sansoni


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