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L’omicidio di Massimo D’Antona 22 anni fa. Quei conti interni alla sinistra stretta tra globalizzazione e precariato

Il 20 maggio del 1999 le Nuove Br freddarono il giuslavorista con 9 colpi di pistola. Nella rivendicazione la dichiarazione di guerra alla “borghesia internazionale”

di Davide Romano -


La mattina del 20 maggio 1999 Massimo D’Antona, giuslavorista e consulente del ministero del Lavoro, non riuscì a compiere quelle poche centinaia di metri che separavano la sua abitazione dal suo studio. Dopo essere uscito di casa intorno alle 8 di mattina, all’altezza dell’incrocio tra via Salaria e via Adda a Roma, un commando delle Nuove Brigate Rosse composto da Mario Gallesi e Nadia Desdemona Lioce lo freddò con nove colpi di pistola. Poche ore dopo arrivò la rivendicazione: un documento di 14 pagine stampate fronte retro con stella a cinque punte firmato dalle Nuove Br. La volontà dei neo brigatisti di porsi in continuità con l’organizzazione attiva negli anni di piombo era evidente, anche se lo stile del “papello” segnava un peggioramento rispetto alla qualità letteraria degli anni ’70. Così come anche gli obiettivi erano stati rivisti al ribasso: ad essere colpito non era un personaggio politico di spicco, ma un (fino ad allora) semi-sconosciuto consulente del ministro del Lavoro Antonio Bassolino. Tuttavia l’omicidio segnava un ritorno importante del terrorismo rosso: l’ultimo agguato a firma Br, l’uccisione del senatore democristiano Roberto Ruffili, risaliva a ben undici anni prima.

L’esordio delle Nuove Br fu caratterizzato anche da una nuova denominazione del nemico: nella rivendicazione non si parlava più di “Stato imperialista delle multinazionali” come negli anni di piombo, ma di “Borghesia Internazionale”. Il riferimento non solo alla globalizzazione ma anche alla ristrutturazione del mondo del lavoro in corso in quegli anni era evidente. Massimo D’Antona era il rappresentante permanente dell’esecutivo al tavolo del “Patto per l’occupazione e sviluppo”, un accordo tra sindacati e associazioni imprenditoriali che per le Nuove Br rappresentava un modello “neo corporativo”. Per questo venne colpito. Massimo D’Antona era un uomo di sinistra, un docente universitario che era stato simpatizzante del Partito comunista, ex membro della consulta giuridica della Cgil, un tecnico al servizio dei governi di centrosinistra. Nel 1997 aveva collaborato con il ministro del Lavoro del governo Prodi, Tiziano Treu, al famoso pacchetto di misure che introduceva il precariato in Italia: lavoro interinale, flessibilità, contratti a progetto, co.co.co., tutti concetti fino ad allora sconosciuti nel nostro Paese.

Per questo le Nuove Br scelsero di colpire D’Antona proprio il 20 maggio, giorno in cui cadeva l’anniversario dell’introduzione dello Statuto dei lavoratori del 1970. Agli occhi dei terroristi il giuslavorista era semplicemente un complice del piano globale per ridurre i diritti dei lavoratori. Una posizione non del tutto aliena alla sinistra di quegli anni, come dimostrarono le dichiarazioni di Fausto Bertinotti a cui seguirono grandi polemiche: “Il documento delle Br è politicamente inesistente, ma dal punto di vista dell’analisi il testo dei brigatisti è parzialmente condivisibile”. Alle parole dell’allora segretario di Rifondazione Comunista risposero i Democratici di Sinistra, sostenendo che il disagio sociale e la globalizzazione non solo non potevano giustificare azioni criminali, ma nulla di quanto era scritto nel documento dei brigatisti poteva essere condiviso. L’attività delle Nuove Br tra il 1999 e il 2003, così come l’esperienza dei no global tra Seattle e il G8 di Genova, ha segnato il passaggio dalla sinistra novecentesca a quella neoliberista di oggi. La differenza è che quello della Lioce e compagni è stato un efferato e velleitario colpo di coda, l’esperienza dei movimenti e dei disobbedienti ha di fatto anticipato sotto il profilo culturale il politicamente corretto dei giorni nostri.


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