Economia

L’Opec inguaia gli Usa: “Aumenta la domanda globale”

Le previsioni dei produttori, la discesa del prezzo del barile, la carica degli hedge fund

di Giovanni Vasso -


L’Opec non molla la presa e promette nuovi dispiaceri agli americani e a Donald Trump. Già perché la domanda globale di petrolio, secondo l’analisi contenuta nel report mensile pubblicato nei giorni scorsi dall’organizzazione, rimarrà stabile per tutto il 2025. E già questa, di per sé, non è un’ottima notizia per i produttori Usa. Ma il guaio è che, secondo l’Opec+, la domanda crescerà ancora nel 2026 “costringendo” i Paesi ad aumentare ulteriormente la loro produzione. Stando agli analisti Opec, difatti, nell’area Ocse, si prevede che la domanda di petrolio crescerà di circa 0,1 mb/g nel 2025, mentre nei paesi non Ocse si prevede che la domanda di petrolio crescerà di 1,2 mb/g nel 2025. Ma la “botta” al rialzo si registrerà nel 2026, quando la domanda globale di petrolio crescerà di 1,4 mb/g su base annua. Si prevede che nell’area dell’Ocse crescerà di circa 0,2 mb/g su base annua, mentre i paesi non Ocse dovrebbero crescere di 1,2 mb/g su base annua.

L’analisi Opec che spaventa gli Usa

Detta in soldoni, anzi, in barili: tra un anno la produzione aumenterà ulteriormente di 1,38 milioni di barili al giorno con un incremento di produzione da 100mila barili al giorno. Un oceano di petrolio che è pronto ad abbattersi sullo scenario globale. E, in particolare, sulla produzione americana. Già, perché con tanta materia prima in giro il prezzo, fatalmente, scende. E se cala sotto i 65 dollari al barile, per i petrolieri Usa, è un guaio dal momento che le tecniche di estrazione come il freaking comportano costi maggiori che alzano il breakeven e, dunque, richiedono quotazioni più alte per garantire introiti e guadagni alle compagnie.

L’Aie prova a calmare le acque

Le stime dell’Opec hanno aperto un dibattito sulle previsioni che l’Aie, l’agenzia internazionale dell’Energia, ha inteso ridimensionare. Numeri alla mano, gli analisti hanno riferito che la crescita della domanda internazionale di greggio, quest’anno, è stata di “soli” 680mila barili al giorno in più rispetto ai 700mila preventivati. Contestualmente, nel report presentato mercoledì a Parigi, si legge che la crescita della domanda è in frenata anche per l’anno venturo. Se, di base, la previsione originaria era di 720mila barili al giorno adesso è stata ridimensionata a “soli” 700mila. In pratica, al posto del 1,38 milioni di barili in più predicati dall’Opec, il mondo avrà bisogno “solo” di 104,4 milioni di barili al giorno. Se il trend rialzista non è contestato, quello che cambiano solo le dimensioni della crescita della domanda. Fatto che diventa sostanziale quando, di mezzo, ci sono le strategie non solo e non più economiche ma pure geopolitiche. Anche perché, contestualmente, l’Aie ha ricordato che se cresce la domanda fa altrettanto anche l’offerta. E ha snocciolato i numeri. L’offerta globale di petrolio è stata aggiornata a seguito dell’ultimo annuncio giunto proprio dall’Opec che ha promesso un nuovo aumento della produzione, da 547mila barili al giorno, a partire da settembre.

Ma gli occidentali continuano a guidare il mercato

Altri numeri, poi, restituiscono la dimensione del confronto anche dal punto di vista prettamente economico. Perché, come riferiscono gli analisti Aie, i petrolieri americani, o comunque tutte le aziende energetiche che non sono associate nell’Opec, continuano a guidare la crescita e la loro produzione si rimpingua fino a 1,3 milioni di barili al giorno nel 2025 e 1 milione di barili al giorno nel 2026. Dati e andamenti che, per l’Aie, sarebbero sostenuti dalla crescente produzione di Ngl statunitensi, greggio canadese e petrolio offshore statunitense, brasiliano e guyanese. Il guaio, però, sta nelle quotazioni che proseguono a stagnare.

Quotazioni in caduta libera

Il Brent segna il passo e viene venduto a poco più di 66 dollari al barile (in calo dello 0,08%) mentre il West Texas Intermediate flette dello 0,11% e si cede a 63,10 dollari. Poco, troppo poco, perché gli affari possano essere davvero sostenibili per i produttori americani. Anche perché, nel frattempo, le quotazioni hanno perduto, ieri, ulteriormente terreno. A cominciare proprio dal Wti sui cui listini un barile di greggio veniva a essere apprezzato a poco più di 62 dollari. Scatenando, così, la cupidigia degli hedge fund che scommettono “corti”, ossia al ribasso, sui titoli delle società energetiche. Confortati, in questo, dall’unica previsione che, tenendo conto di quanto ha riferito l’Opec e sostanzialmente, anche se in termini minori, confermato l’Aie. E cioè che il petrolio potrebbe scivolare addirittura a 50 dollari al barile.


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