L’ORA DELLA POLENTA
Antesignana del comfort food, arcaica, consolatoria col profumo di famiglia, di sere d’inverno e convivialità, la polenta è uno dei primi impasti cotti della storia dell’umanità.
Se ne hanno tracce del suo uso già tra i Sumeri e in Mesopotamia, dove veniva preparata con segale e miglio. La farina d’orzo era la polenta dei greci e a seconda delle culture, delle epoche e delle materie prime disponibili in Africa e Asia ne troviamo testimonianza sotto tantissime varianti.
Si chiama polenta dal latino puls. Da sempre cibo comune, i romani venivano chiamati anche pultiferi, che significa nientemeno che mangiatori di polenta. All’epoca ricettari tramandati oralmente fino alla diffusione della scrittura riportavano le regole della polenta ad hoc: impasto a base di macinatura di farro cotto in acqua e sale, da servire con contorno di ceci, pesci sotto sale, formaggi, verdure che si cuocevano al vapore e raramente carne. Addirittura la polenta si accompagnava alla frutta. Quasi fosse un dessert. Da qui, alcune torte semplici e casalinghe tutt’oggi si appellano familiarmente come “polentine”.
La versione classica è a base di cereali a grana grossa in acqua bollente salata.
Seneca bacchettando il malcostume della sua epoca (parliamo del 75 DC) incolpava della crisi morale e dei valori, della sregolatezza dei costumi e del linguaggio, la frugalità dei pasti che venivano consumati venendo sempre meno alla ritualità di preparazione e consumo. Invocando la parsimonia veterum, rimpiangeva i tempi in cui i latini si riunivano per mangiare puls: “Pulte, non pane vixisse longo tempore Romanos manifestum” che per noi significa: di polta (polenta) e non di pane vissero per lungo tempo i romani.
La scoperta del mais, principale componente della polenta odierna va attribuita a Cristoforo Colombo, che ne promosse anche la diffusione con una scelta di farine che sono giunte fino a noi.
Per la polenta di oggi si versa la farina a pioggia in un paiolo possibilmente di rame pieno di acqua bollente, salata, in una formula che vuole il rapporto 1 a 4. E poi bastone di legno, tanta pazienza e voglia di rimestare in continuazione, per almeno un’ora. Cotta la polenta, si versa su una tavola di legno, si può condire con un sugo o accompagnare a un formaggio. E una volta fredda si può tagliare a fette per grigliarla o friggerla, ripassarla al forno e trasformarla in un piatto Gourmet.
Il vero fascino però rimane quello del pentolone conviviale. E il Friuli Venezia Giulia è la regione dove la tradizione viene rispettata in ogni singolo passaggio.
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