L’Oro di Napoli: una golosa carezza mediterranea tra le pietre del Carso
L’Oro di Napoli: una golosa carezza mediterranea tra le pietre del Carso
Portopiccolo è quel posto dove la pietra del Carso non ti cade addosso ma ti osserva in silenzio, intorno a un’idea di villaggio inventato e riuscito. Qui, dove una volta c’era una cava, oggi c’è un’architettura a saliscendi che sembra scesa da un plastico patinato e invece funziona: piazzette, scalinate, terrazze che sanno di vacanza discreta e lussuosa al contempo. E in mezzo, quasi defilata ma ben visibile se ci passi con l’occhio affamato, L’Oro di Napoli. Un’insegna che sa già dove vuole andare, senza fingere radici che non ha, senza appiccicare folklore dove non serve.
Ci si siede e si ha l’impressione di non essere finiti nel solito posto che fa finta di essere semplice per attirare chi invece cerca la posa. I piatti arrivano senza effetti speciali, senza vassoi teatrali, senza camerieri col tono impostato da convention. Arrivano e basta. Ah, con grande gentilezza. Che non cosa scontata. La pizza ha la faccia onesta, senza photoshop: cornicione non esibizionista, base ben cotta, ingredienti veri. E quando dici “margherita” ti arriva proprio quella, non un’interpretazione concettuale. Viva Dio.
Poi ci sono i fritti, asciutti come si deve, che non restano sullo stomaco ma neanche evaporano al primo morso. E il pesce, trattato con rispetto, cucinato con criterio, servito senza applausi finti. Il servizio è sveglio, non servile, il che di questi tempi è quasi commovente. Nessuno ti chiama amore, nessuno ti domanda se va tutto bene mentre mastichi. Ma ci sono, e si vede.
L’ambiente è quello giusto: sedie comode, luce naturale, nessun bisogno di musica d’atmosfera per fingere intimità. Ci si guarda in faccia, si parla, si mangia. E nel frattempo attorno tutto scorre con un’eleganza che non è ostentata. Le famiglie si mescolano alle coppie, qualche straniero si guarda intorno e capisce che è finito in un posto che non è di passaggio. I negozi sono a portata d’occhio ma non disturbano. La pietra fa da quinta, il mare sta lì, vicino ma non invadente. È un contesto che aiuta a lasciar perdere tutto il resto, a non dover inventare nulla.
Anche il conto, che qualcuno immagina da resort col ricarico isterico, si rivela più ragionevole di quanto suggerisca il panorama. Perché L’Oro di Napoli, alla fine, ha capito che l’esclusività non sta nel complicare. Sta nel fare bene, senza fronzoli e senza esibizionismi. Non racconta favole, non cerca di trasformare il pasto in un evento, non ti vende esperienze multisensoriali con l’hashtag incorporato. Ti dà da mangiare. Bene. E quando esci, non ti senti parte di una scenografia. Ti senti appagato, rilassato, vagamente sorpreso di come certe cose, fatte con misura, funzionino ancora.
Nessuna pretesa da rivelazione gastronomica, nessun bisogno di tornarci per dire che ci sei stato. Ma ci torni, perché in fondo, tra pietra e mare, hai trovato qualcosa che sazia più del piatto. Perché insieme alle cose buone anche la gentilezza nutre.
Torna alle notizie in home