L’Ufficio parlamentare di Bilancio taglia le stime di crescita del Paese e rimette al centro della discussione economica e politica il destino del Pnrr. La revisione dei conti e delle previsioni è stata pubblicata nella giornata di ieri. I numeri, però, non rappresentano una discesa agli inferi. Almeno non per ora. Quello che c’è da sottolineare, però, è che le grandi questioni aperte stanno iniziando, sul serio, a pesare sulle prospettive legate alla crescita economica di un Paese che si ritrova, peraltro, sotto la spada di Damocle del Patto di Stabilità. Dai dazi fino, appunto, alla politiche comunitare, alla fine del Pnrr e alle ristrettezze che imporrà l’adesione al cammino di rientro dell’Italia nei parametri di deficit sanciti a Bruxelles.
I numeri dell’Ufficio parlamentare di bilancio
I numeri sono chiari. L’ufficio parlamentare di bilancio ha quantificato la previsione di crescita per il 2025 nello 0,5%. Stesso identico trend di crescita è previsto anche per il 2026. Se tutto va bene, dunque, il Pil italiano crescerà di un punto ma in due anni. Ad aprile scorso le stime parlavano di un’ipotesi di crescita allo 0,6% per quest’anno e allo 0,7% per quello successivo. Il calo, dunque, è nell’ordine di qualche decimale. Che, però, diventa decisivo quando si parla di Pil e di proiezioni economiche. Gli analisti dell’Ufficio parlamentare di bilancio hanno messo nel conto le grandi turbolenze scatenate sui mercati dalle politiche tariffarie volute, sostenute e imposte da Donald Trump insieme a un nuovo corso commerciale degli Stati Uniti d’America. Ma questa non è l’unica preoccupazione degli economisti. Che, difatti, hanno dovuto mettere in conto anche i guai legati al rafforzamento dell’euro sul dollaro, che riduce la competitività in termini di prezzi frenando le esportazioni nette.
Il caso Pnrr
Se i tagli alle stime non sono stati più gravi è stato solo grazie alla sostanziale tenuta dell’occupazione e al rafforzamento degli investimenti. Con in testa il Pnrr. Che, soprattutto nel 2026, reciterà un ruolo importante, se non decisivo, per sostenere la crescita del Paese. Sarà, però, l’ultima annualità. Poi di soldi, dall’Ue, per il Piano nazionale di ripresa e resilienza non ne arriveranno più. E anzi occorrerà iniziare a pensare di trovare il denaro da restituire a Bruxelles. Perché, è sempre bene ricordarlo, la stragrande maggioranza dei fondi Pnrr è stata erogata in regime di prestito, a onta di ciò che ne ha continuato a dire la politica, per anni, presentando il piano come una sorta di helicopter money dell’Ue.
I timori delle famiglie
Ma ci sono anche altre cifre interessanti tra quelle pubblicate dall’ufficio parlamentare di bilancio. C’è, ad esempio, il grande tema della propensione al risparmio che si attesta, adesso, intorno al 9 per cento del reddito disponibile. Un numero che è superiore a quello attestato negli anni pre-Covid. E che conferma la prudenza delle famiglie italiane. Dopo la pandemia, difatti, s’è scatenata una spirale negativa deflagrata, poi, nella crisi energetica insorta nel 2022 con il conflitto tra Russia e Ucraina. Che ha portato alle stelle il carovita, costringendo le famiglie a utilizzare i propri risparmi per far fronte alle spese quotidiane. Talora, addirittura a doversi indebitare. Adesso, che la situazione sembra un po’ meno ansiogena di allora ma rimane pur sempre carica di tensioni, gli italiani risparmiano per paura di dover fronteggiare una nuova ondata di rincari. Questa attitudine al risparmio comporta conseguenze serie sul mercato. Le famiglie centellinano le spese anche se, tendenzialmente, si evitano rinunce draconiane.
Investimenti e occupazione
A tenere in piedi l’economia e la crescita sono (anche) gli investimenti. Che, nel primo trimestre del 2025, sono aumentati dell’1,6 per cento. Ma a cui la cappa di incertezza scatenata sui mercati dalle ondivaghe politiche trumpiane di dazi e tariffe potrebbero aver messo la mordacchia. Resta, però, positivo il dato legato all’accessibilità del credito. Sempre meno, infatti, sarebbero le imprese a lamentarsi di non riuscire a ottenere mutui e prestiti. Un effetto, questo, del ritorno alla normalità (o quasi) nella politica monetaria imposta dalla Bce. Che, dopo mesi di ristrettezze e tassi alle stelle, ha scelto di incamminarsi in un altrettanto lungo viaggio di rientro che, solo a luglio scorso, ha trovato una pausa che ha lasciato i tassi invariati.
Occhio a dazi e Pnrr
Un’altra buona notizia arriva sul fronte occupazione. Gli analisti Upb, difatti, si attendono un aumento medio dello 0,5% in termini di Ula, unità di lavoro standard. Un buon risultato che confermerebbe il trend più che positivo sul fronte, da sempre delicatissimo, dell’occupazione in Italia. Per quanto riguarda l’inflazione, invece, le previsioni parlano di un tasso medio che si attesterà all’1,8%. Il guaio, però, è che l’orientamento dello scenario economico è verso il basso. E un eventuale ridimensionamento non dipenderà direttamente dal nostro Paese. I dazi restano uno dei motivi di preoccupazione principale, così come preoccupa, e non poco, lo scenario energetico dal momento che Ucraina e Medio Oriente sono in fiamme e cambiano, radicalmente, la geografia degli approvvigionamenti all’Europa e, dunque, anche all’Italia.