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Luigi Manconi: “Giustizia esclusa dal congresso Pd e sul carcere duro stiamo sbagliando Nordio? La sua strada è tutta in salita”

di Edoardo Sirignano -

LUIGI MANCONI POLITICO ©imagoeconomica


“Sul tema giustizia, il vero problema che non c’è mai stata pluralità. Neanche nell’ultimo congresso”. A dirlo Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e autorevole esponente dei Ds e del Pd.
Quale la finalità iniziale del tanto discusso 41 bis?
Recidere i legami tra il detenuto e l’organizzazione criminale alla quale apparterebbe. In questi decenni, purtroppo, è diventato altro.
Cosa?
Quando ne parliamo, non dobbiamo fare riferimento al carcere duro, come troppo spesso avviene oggi. Non deve essere una forma di detenzione particolarmente afflittiva, punitiva, coercitiva e restrittiva, né troppo pesante per chi la subisce.
Quale fu l’atteggiamento iniziale della parte più progressista del Paese nei riguardi del provvedimento?
Non ricordo l’atteggiamento del Pds, ma non ha votato contro la sua istituzione. Nei primi anni 90, la norma appariva una forzatura. Sono state, poi, le stragi di Capaci e di via D’Amelio a mettere a tacere preoccupazioni, che a mio avviso invece dovevano esserci.
Come è posizionata oggi la sinistra?
Quella nella quale credo è garantista e libertaria. La sinistra dovrebbe criticare tutti gli abusi di potere, come nel caso del 41 bis. Detto ciò, mi ritengo minoranza.
Il congresso del Pd poteva segnare la svolta?
Non penso proprio. Sarebbe stato opportuno che si confrontassero posizioni franche, chiare. Mi sembra che ciò non sia accaduto. Sul tema giustizia, non c’è pluralità.
Tra i vari candidati. qualcuno si può attestare la battaglia garantista?
Attestarsi questo tipo di battaglie mi sembra troppo. A livello personale, ho sottoscritto un manifesto a favore di Gianni Cuperlo per la stima che ho nei suoi confronti. Quest’ultimo ha sempre assunto posizioni rispettose verso i principi di libertà e i valori del garantismo. Lo ritengo il meno lontano, tra i vari candidati, dalle mie posizioni. La campagna congressuale, però, è su altri temi, su altre questioni.
Qualcuno, intanto, sostiene che il successore designato è Bonaccini. È davvero così?
Non faccio indagini demoscopiche. So quello che sanno tutti, ovvero che Bonaccini è il favorito.
Può diventare il nuovo simbolo del progressismo?
Non ci sono simboli della sinistra, né ci sono mai stati, tanto meno incarnati in una persona. L’indicazione di un leader dovrebbe venir fuori da un processo democratico.
Come si sta comportando il governo in materia di giustizia?
In maniera contraddittoria e confusa, tanto da frustrare alcune speranze che aveva suscitato. Condivido molto di quanto Nordio dice, delle sue posizioni. I comportamenti politici, quelli assunti come membro del governo, però, mi sembrano ispirati da una costante approssimazione.
Cosa ne pensa della proposta di limitare le intercettazioni?
Sono favorevole. Bisogna capire, comunque, cosa vuol dire limitarle. Se interpretassimo con attenzione e senza pregiudizio le parole del Guardasigilli, capiremmo che la sua preoccupazione non riguarda l’uso delle intercettazioni, ma quel capitolo spinoso, rappresentato dalla loro pubblicazione, dall’estensione illimitata, dal ricorso a strascico e dunque da un abuso, che è un dato obiettivo.
Nordio può realizzare una vera riforma?
Speravo fosse in grado, ma dopo queste prime settimane di governo ritengo che sarà un’impresa ardua. Anche le cose più sacrosante e condivisibili rischiano di non potersi attuare perché la gestione che ne fa un esecutivo, arrogante e pasticcione, è a dir poco disastrosa.
L’attuale classe dirigente democratica, negli ultimi mesi, è stata protagonista di scandali importanti come il Qatargate e il caso Soumahoro. Cosa ne pensa?
Queste ultime vicende sono un effetto pressocché fisiologico di un’attività che non è stata in grado di darsi misure di tutela, di difendersi con provvedimenti politici dalla corruzione. Mi sembra che il sistema sia debole e soggetto alla tentazione della corruzione perché non ha trovato misure che limitassero questa possibilità. Non ha dato regole precise alle formazioni partitiche, alle attività delle lobby. Ha lasciato indistinto il campo della politica, privo di forme di difesa. È inevitabile, quindi, che si producano fenomeni di questo tipo, come d’altronde adesso avviene in tutta la società. Una cosa è certa, questi comportamenti non si combattono con lo sdegno e il moralismo, ma con leggi adeguate che regolano l’attività dei partiti, la formazione dei gruppi dirigenti, la selezione dei parlamentari e perché no il campo delle lobby. Da decenni si cerca di approvare una norma a riguardo. Viene, però, sempre respinto il tutto con argomenti irrisori. Il primo tentativo è stato effettuato negli anni 80 e oggi siamo nel 2023.

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