L’Ungheria si ritira dalla Corte dell’Aja
In meno di un mese, l’Ungheria ha ufficializzato il ritiro dalla Corte Penale Internazionale (CPI), consolidando la propria linea di sfida al diritto internazionale. Dopo l’annuncio congiunto con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il Parlamento ungherese ha approvato il ritiro, una decisione rilanciata con orgoglio dal governo di Viktor Orbán. È stato il ministro degli Esteri Peter Szijjártó a comunicare per primo la notizia sui social, definendo la CPI “un’istituzione politicizzata” che ha “perso imparzialità e credibilità”. Il gesto ha subito raccolto l’appoggio di Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega. La mossa di Budapest arriva all’indomani della visita di Netanyahu, segnata dalle polemiche per il mancato rispetto da parte delle autorità ungheresi del mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti del premier israeliano. Il passo indietro dell’Ungheria appare tutt’altro che casuale, favorito anche dall’approccio favorevole di Donald Trump verso Israele e le critiche agli organismi internazionali. La reazione della comunità internazionale, in particolare dell’Assemblea degli Stati Parte dello Statuto di Roma, non ha fermato la decisione ungherese, ora formalmente in vigore.
A Bruxelles la tensione cresce: il ritiro rischia di aprire una nuova frattura tra Budapest e l’Unione Europea. La Commissione ha ribadito il pieno sostegno alla CPI e ricordato che, secondo i Trattati, l’Ungheria è vincolata a sostenere la politica estera e di sicurezza comune, agendo in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca. Anche in Italia la mossa di Budapest ha acceso un nuovo scontro politico. Salvini ha esultato, definendola una scelta di “giustizia, sovranità e coraggio”, mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha preso le distanze, ribadendo che l’Italia deve restare nella Corte. Il ritiro rischia di essere solo l’inizio. Con le elezioni ungheresi del 2026 all’orizzonte e il partito d’opposizione Tisza in crescita nei sondaggi, si teme che Orbán possa irrigidire ulteriormente la sua posizione. Intanto, sulla CPI potrebbe profilarsi un nuovo scontro: secondo il Guardian, il procuratore Karim Khan sarebbe vicino a richiedere nuovi mandati d’arresto contro funzionari israeliani per presunti crimini commessi nei territori palestinesi.
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