Politica

M come Merkel

di Edoardo Sirignano -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO


A Giorgia non basta essere la prima donna premier. Per il 2023 Meloni ha obiettivi ancora più grandi o meglio un vero e proprio piano nel cassetto pronto a essere attuato. A svelarlo i fedelissimi consiglieri della leader di Fratelli d’Italia, tra cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il ministro ai rapporti col Parlamento Luca Ciriani. L’obiettivo non è solo smorzare ogni polemica sul nascere, ma creare quelle condizioni indispensabili per andare oltre la fine del mandato. I sondaggi riguardanti le regionali, d’altronde, consentono di guardare tranquillamente al lungo periodo. Il modello da imitare ha un nome e cognome: Angela Merkel.
Parte I: Il partito unico
dei conservatori
La prima parte del progetto, quindi, è superare, sin dal principio, ogni divisione tra le forze della coalizione. Un’operazione non impossibile, considerando lo stato di salute dei partiti alleati. Matteo Salvini, senza Fdi, non riesce neanche a mantenere le roccaforti del Nord. Esempi sono la Lombardia, dove la politica romana prenderà più voti dei verdi (divisi tra Bossi e il segretario), il Veneto, dove non c’è un erede a Zaia e il Veneto, in cui un ingestibile Fedriga s’inventa la scusa delle civiche per scaricare i compagni scomodi. Forza Italia non se la passa meglio. Le faide interne dilaniano gli azzurri. Lo stesso Cav, secondo gli ultimi rumors, sarebbe stanco di fare il paciere. Un grande leader, d’altronde, è a dir poco sprecato in quella funzione. Ecco perché è lo stesso Silvio a voler cambiare strategia, a rimescolare le carte. Berlusconi, si sarebbe ripetuto nelle stanze di Arcore, vuole chiudere la carriera facendo il padre saggio, lo statista illuminato. Sembrerebbe, pertanto, che sia disposto a mettersi di nuovo a disposizione di quella Giorgia, che gli ha consentito di realizzare il più grande sogno, portare la sua creatura-invenzione, il centrodestra, di nuovo al governo. La sfida, stavolta, si chiama casa dei conservatori, un Cdu alla tedesca. A rivelarlo lo stesso ex premier, che utilizza un linguaggio diverso dal solito. Non si fa più intervistare, in più puntate, dal “Giornale”, venduto prima della fine dell’anno agli Angelucci, ma da “Libero”. Su queste colonne parla, appunto, di forza unica conservatrice, cristiana e liberale in grado di bloccare ogni avanzata progressista. Ciò è più di un semplice assist verso Giorgia, che da tempo auspicava il superamento delle vecchie sigle per dar vita a qualcosa di nuovo e più inclusivo.
Parte II: il presidenzialismo
Per scrivere la storia, non basta vincere una sola volta. Occorre mettere radici profonde. Altrimenti, prima o poi, il consenso si sgretola e ci si viene dimenticati. Per fare ciò è indispensabile cambiare le stesse istituzioni. La strada per Meloni è una sola: l’art. 83 della Costituzione, ovvero quello che regola le modalità di elezione del capo dello Stato. Quest’ultimo non dovrebbe più essere votato dal Parlamento e dai suoi membri in seduta comune, ma scelto direttamente dai cittadini. Per giungere al traguardo, alquanto complicato, sono indispensabili le larghe intese, quelle che vanno oltre gli steccati dei partiti e delle tradizionali coalizioni. Non basta avere il placet dei soli alleati. Serve, a contrario, che qualcuno con una storia diversa sia pronto a lavorare per un fine più alto. L’interlocutore c’è e si chiama Matteo Renzi. Il giglio ha già espresso gradimento verso la riforma che dovrebbe realizzare il dicastero presieduto da Casellati. Non sarebbe, d’altronde, la prima volta che l’ex fascia tricolore di Firenze si spenda per le cause di Giorgia. L’elezione di La Russa al Senato ne è la prova. La storia, in questo caso, comunque, è differente. L’altro socio del Terzo Polo, ovvero quel Carlo Calenda, definito dai più il cinguettatore o la stampella, non sarebbe d’accordo. Detto ciò, neanche i centristi uniti bastano allo scopo. L’unica medicina per dormire sogni tranquili sarà convincere la sinistra. Un’impresa non impossibile, considerando la recente politica estera, dove Letta e Giorgia parlano la stessa lingua e l’idea dem del cancellierato alla tedesca. Un modello, che prende spunto da quello teutonico, potrebbe essere più di un semplice ponte per arrivare, in breve tempo, a l vero obiettivo del Meloni I.
Parte III: gli ostacoli
da superare
Nel cammino ovviamente non mancheranno gli ostacoli. Il primo potrebbe arrivare da quel Colle, che fino a ora ha sempre dato man forte alla numero uno di Fdi. Sostegno riconosciuto dalla stessa inquilina di Palazzo Chigi, che tramite una telefonata di Mantovano avrebbe ringraziato Mattarella per il sostegno prestatogli fino a ora. Basta d’altronde ascoltare attentamente il discorso di fine anno del Quirinale per non trovare un solo verbo contro l’ attuale esecutivo. Nonostante ciò, esiste un limite che Re Giorgio non consente di superare. Stiamo parlando delle riforme. Chi deve mantenere gli equilibri non vuole grane, stravolgimenti, confusioni o nuove pretese. Il presidenzialismo potrebbe avviare quello che in politichese si chiama precedente. Il ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida, braccio destro della premier, ad esempio, ha già parlato di nuovi poteri per la capitale. Umbria, Molise e Basilicata, invece, da tempo richiedono più consiglieri regionali. Il silenzio, poi, sull’autonomia differenziata vale più di mille parole. Se il super premier è al primo posto dell’agenda della maggioranza, dopo il 25 settembre non si è parlato neanche un secondo del cavallo di battaglia del Carroccio. Secondo qualche mal pensante sarebbe dovuto a precise volontà di via della Scrofa. Fdi, sapendo di avere già il Nord in mano, non sarebbe disposta a cedere il Sud al Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, allo stato primo oppositore dell regionalismo. Il Mezzogiorno, a parte qualche voce isolata, non sembrerebbe ancora ritrovarsi sulla svolta federalista.


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