Attualità

Mancava solo l’autoreferendum: il Pd appoggia l’abolizione del Jobs Act

di Domenico Pecile -

ELLY SCHLEIN SEGRETARIA DEL PARTITO DEMOCRATICO GIUSEPPE CONTE POLITICO


Il Pd di Schlein appoggia l’iniziativa della Cgil per l’abolizione del Jobs Act.
Ma il partito di Renzi non ci sta: è una legge che i dem hanno proposto e votato

La Cgil ci aveva già provato. Era infatti il 2107 quando il sindacato ora nelle mani di Landini aveva imboccato la strada referendaria per reintrodurre l’articolo 18, quello che prevede un indennizzo economico e il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato; articolo 18 che fu definitivamente abolito dal Jobs Act voluto nel 2015 dall’allora premier, Matteo Renzi, e che aveva apportato riforme nel mondo del lavoro. Ma quella richiesta venne bocciata dalla Corte costituzionale che accolse la tesi dell’inammissibilità difesa dall’ex leader del Ps, Giuliano Amato. Ora la Cgil vuole riprovarci, forte probabilmente del fatto di poter fare affidamento sull’appoggio della Schlein, oltre che del M5S di Conte. Il “dietrofront compagni” è arrivato ieri dalla segretaria del Partito democratico, rispondendo a un’intervista: “Io già nel 2015, nel Pd, ero contraria al Jobs act, e per me si deve fare altro per diminuire la precarietà, i contratti a termine. Quindi noi seguiremo le iniziative della Cgil, perché condividiamo i problemi sulla precarizzazione del lavoro in Italia”. Per adesso Landini si muove con estrema cautela e sposa la prudenza. Pochi giorni fa in ‘un’intervista rilasciata a Qn aveva dichiarato: “Le leggi che hanno favorito la precarietà vanno cambiate. Se Governo e Parlamento non intervengono siamo pronti nei prossimi mesi a prendere in considerazione anche il referendum per abrogare leggi folli, compreso il Jobs Act”.
La macchina referendaria, dunque, non è ancora partita. Manca ovviamente un quesito preciso e soprattutto la legge prevede che la raccolta delle firme possa iniziare soltanto a gennaio. Un tema caldissimo, quello del possibile referendum, che se ancora rimane per adesso allo stato embrionale è già riuscito a infiammare la polemica soprattutto dentro il Centro sinistra dove sia Calenda sia Italia viva stanno sparando a zero sulle dichiarazioni della Schlein a favore della consultazione. Per il leader di Azione, si tratta di un’ipotesi politicamente perdente e grave allo stesso tempo. “Appoggiare il referendum per l’abolizione del Jobs Act – ha dichiarato Calenda – è un grave errore da parte del pdnetwork. Occorre lavorare sui salari poveri con il salario minimo e sui salari medi attraverso la detassazione del salario di produttività, non ingessare il mercato del lavoro”. Più duro il commento che arriva dal partito di Renzi. “Se c’è un provvedimento che ha funzionato – ha scritto preoccupato su Twitter, Nicola Danti, eurodeputato di Italia viva e vice presidente del gruppo Renew Europe – e che fu sostenuto da tutto il Partito democratico, Elly Schlein deve mettersi di traverso. Così sarà per il Jobs Act: dalla Toscana la segretaria Dem ha annunciato che sosterrà il referendum abrogativo annunciato dalla Cgil. E i benefici concreti sull’occupazione? E le maggiori tutele? Nulla, al Pd e 5 Stelle interessano soltanto le abiure”.
E il terzo polo, che si appresta a fare da argine al movimentismo della Schlein, confida in una sorta di ribellione interna che, a suo dire, dovrebbe scattare da quell’are riformista che sta scalpitando da quando la neo segretaria ha fatto virare il partito su una rotta decisamente più di sinistra. Una strategia, quella perseguita dalla segretaria del Partito democratico che punta a trovare accordi sempre più organici con il Movimento di Conte con il quale in un paio di occasioni importanti ha condiviso la piazza. “Che tristezza infinita – ha scritto sempre su Twitter Raffaella Paita, senatrice e coordinatrice di Italia viva – vedere il Pd ridotto ad una appendice del Movimento 5 Stelle, costretto a rinnegare le cose buone fatte in passato come il Jobs Act che ha prodotto oltre 1 milione di posti di lavoro. E che imbarazzo per quel silenzio assordante dei cosiddetti riformisti del Pd. Noi siamo e saremo orgogliosamente dall’altra parte: quella del lavoro e non quella dei sussidi”.
Ed è proprio Renzi ad appellarsi all’area riformista e in particolare agli ex ministri del suo ex Pd. “Cari Paolo Gentiloni, Roberta Pinotti, Beatrice Lorenzin, Marianna Madiua, Dario Franceschini, Graziano Delrio: vi ricordate – ha affermato con estrema durezza – che voi eravate i vicesegretari di quella squadra? Quale faccia indosserete per recarvi ai seggi? Io un referendum l’ho perso, ma meglio quello che perdere dignità”. In casa, Pd, fatte salve alcune prese di posizioni a titolo personale (come quella della responsabile lavoro della segreteria, Cecilia Guerra, la quale ha sottolineato che i dem potranno pronunciarsi soltanto quando ci sarà un quesito depositato), tutto ancora tace. Ma il rischio di una nuova spaccatura è uno spettro che agita il partito. Già, dire di no alla Cgil sarebbe politicamente un ostacolo nei rapporti privilegiati con questo sindacato. Ma la scelta non sarebbe indolore. A quel punto l’ala riformista sarà costretta a scegliere se appoggiare o meno la Schlein.


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