Si comincia con ottimi fondamentali ma è evidente che l’approdo della manovra sarà quello di tagliare le tasse. “Nonostante rischi e incertezze del contesto macroeconomico internazionale, la finanza pubblica italiana si conferma solida”. Per (iniziare a) capirne di più sulla manovra che verrà bisogna, innanzitutto, spulciare il programma trimestrale sull’emissione di titoli da parte del Mef. Se c’è una cosa su cui, a via XX Settembre, sono sicuri è che l’Italia è solida. E Giorgetti, ieri al Senato per la risoluzione sulle procedure per la presentazione del Documento programmatico di finanza pubblica, lo ha detto chiaro e tondo: “Non è che vado in giro con il trofeo dello spread a 80 punti ma invito a ragionare se” il differenziale “fosse rimasto a quota 250, come all’inizio della legislatura, quanto avremmo speso di più di interessi sul bilancio, e quindi quanto minore spazio sarebbe disponibile a favore di famiglie di imprese?”. “È questo il risultato a beneficio non del governo ma di tutti gli italiani che abbiamo concretamente raggiunto”, ha rivendicato Giorgetti. Solo che, ora, gli italiani vorrebbero pure godere un po’ di quegli ottimi risultati che il governo si appunta come medaglie al petto. Magari ritrovandosi con le tasse tagliate, almeno un po’, in manovra. Perché i traguardi sbandierati sno importanti come, appunto, quello che è stato scritto nero su bianco nel documento che riguarda i titoli di Stato: “Si prevede che il rapporto deficit-Pil si collocherà su valori prossimi al 3% già nel 2025, mentre, nei prossimi anni, gli sforzi che si stanno compiendo consentiranno di ridurre il rapporto costantemente al di sotto di tale soglia”. Significa che, se non quest’anno, di sicuro per il prossimo l’Italia sarà fuori dai rigori del Patto di Stabilità. Un segnale, però, Giorgetti lo manda spedendo una bordata ai tecnocrati del Fondo monetario internazionale che chiedono all’Italia di chiudere la flat tax e di avviarsi a risanare, ancora di più, i conti pubblici: “Il Fmi vive in una situazione di comfort, non si misura con il popolo e può permettersi di impartire ricette che storicamente non sempre hanno funzionato: è comunque un utile stimolo, anche perché è bello nella realtà superare in termini di crescita le previsioni sempre ultra prudenti del Fmi”. Insomma, tutto lascia sperare che il governo si lanci invece ad abbassare una pressione fiscale che, proprio in questi ultimi anni, è salita fino al 42,7% diventando intollerabile per famiglie e imprese. A cui, inoltre, Giorgetti ha chiesto di passarsi una mano sulla coscienza e di “fare la loro parte” (così come richiesto alle banche sul fronte Dta) per fare “gli aumenti salariali”. Del resto, lui l’ha fatta già accettando, come ha riferito il collega alla Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, di aumentare la dotazione finanziaria per gli enti locali per adeguare gli stipendi: costo stimato tra i 100 e i 150 milioni. Del resto, proprio in questi giorni, il governo ha ottenuto dal Senato la delega, a proposito di stipendi, a emanare decreti sul salario minimo. Ma, va da sé, dalle parti dell’esecutivo non è che si creda molto in questo tipo di strumenti e soluzioni e, anzi, il centrodestra ha sempre avversato l’idea di salario minimo così come proposta dalle opposizioni. Resta, al di là degli scontri politici, il tema di fondo: le retribuzioni basse, accoppiate alle tasse alte e a un’inflazione che si sta mangiando tutto congelando i consumi. Allo stato attuale l’Italia appare come un Paese che sta dando tutto. In cui si guadagna molto meno che altrove, dove le tasse sono più pesanti. Un Paese in cui, per abbassare le tasse, ci sono tutti gli ingredienti, insomma. E no, il discorso sul popolo di furbetti e di evasori, quasi fosse una tara genetica dell’Italia, non regge più. Le stime di Bankitalia riferiscono, partendo dai dati 2021, che solo l’evasione delle tasse ammonterebbe a 72 miliardi. Un dato importante ma rimpicciolito, e di molto, rispetto a quello risalente al 2017 quando il “tesoro” dei furbetti era stimato in ben 97 miliardi. Ci sono ben 25 miliardi di euro in meno nella disponibilità degli evasori e in più nelle già capienti casse dell’Erario. Contestualmente, hanno spiegato gli analisti di Palazzo Koch, è scesa la propensione all’evasione passando dal 21% al 15%. Ancora alta, per carità. Ma in netta discesa anche grazie a novità come la fatturazione elettronica che fornisce ogni giorno alle amministrazioni fiscali una leva conoscitiva importante, se non imponente, sui contribuenti. Insomma, di scuse per non abbassare le tasse ce ne sono davvero pochine. Ora, chiaramente, bisognerà capire in manovra a chi le tasse verranno tagliate e se si tratterà di “sconti” davvero apprezzabili o no. L’opposizione ha già incardinato, coi sindacati, il tema del fiscal drag che si candida, insieme a quello delle retribuzioni a monopolizzare il dibattito.