Economia

Maxibonifica Pfas: la paga Mitsubishi coi tedeschi di Ici

di Ivano Tolettini -


Dopo la tedesca Ici è il turno dei giapponesi del colosso Mitsubishi. Il Tar del Veneto replica la sentenza di qualche settimana fa con la quale, respingendo il ricorso dei due gruppi industriali multinazionali che hanno gestito la ex Miteni nel Vicentino, li obbliga a pagare la maxibonifica del sito vicentino di Trissino all’origine del più clamoroso avvelenamento da Pfas censito in Europa. Il tempo stringe perché come ha denunciato il Comune di Trissino, per bocca dell’assessore all’Ambiente Gianpietro Ramina pochi giorni fa, dall’area escono ancora Pfas nonostante la fabbrica sia stata smontata e trasferita in India (dove continuerà ad inquinare), perciò “si deve intervenire con urgenza”. Come ha spiegato il geologo Gian Paolo Droli, davanti ai giudici e durante le assemblee pubbliche che negli anni sono state organizzate dai Comitati raccolti attorno alle battagliere Mamme No Pfas, la responsabilità della costante fuoriuscita è di un modello idrogeologico insufficiente presentato ancora nel 2018 da una delle società che occupavano lo stabilimento. Gli ultimi tre gestori del sito sono stati oltre a Ici Group e ai giapponesi di Mitsubishi, che avevano venduto la Miteni per 1 euro nel 2009, anche Eni, come tradisce il nome della società che è stata dichiarata insolvente dal tribunale di Vicenza nel 2018. Il sito misura 450 metri per 150 metri e presenta un’unica falda in due diversi terreni. L’area è monitorata con 115 piezometri, ma il problema è che il plume, la parte di acquifero sotterraneo che trasporta le sostanze inquinanti e che con le copiose piogge di questi mesi continua a muoversi verso il Padovano, dovrebbe essere bloccato con un sistema di barriere idrauliche molto costose e che è in fase di installazione. Il geologo Droli lo scorso febbraio quando venne sentito come testimone davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, dove si celebra il processo contro i 15 manager che si sono succeduti nella gestione della fabbrica, e che sono accusati di disastro ambientale e altro, aveva sottolineato che bisogna fare presto con i lavori di bonifica per realizzare il palanconato lungo il torrente Poscola e la gestione automatizzata della barriera idraulica per orientare l’emungimento dell’acqua nei pozzi barriera a seconda dell’andamento della falda.
GIUDICI E ALLARME PFAS
I magistrati amministrativi hanno stabilito che anche Mitsubishi dovrà pagare le spese di bonifica secondo il principio che chi inquina paga. Per i giudici tutte le società che nel tempo si sono alternate nella gestioni di Miteni, che era stata costituita negli anni Sessanta anche dal gruppo Marzotto. Il verdetto dev’essere ancora emesso dal Tar a carico di Eni e Marzotto, che hanno fatto ricorso pure loro. I giapponesi avevano rilevato la fabbrica nel 1988, costituendola con Eni, dirigendola per vent’anni fino alla vendita a International Chemical Investors, azienda tedesca con sede in Lussemburgo. Del resto, che la sensibilità dell’opinione pubblica per l’emergenza Pfas è palmare lo dimostrano le ripetute prese di posizioni, dopo che nel 2013 è scoppiato il caso del maxinquinamento tra le province di Vicenza, Verona e Padova, che coinvolge 350 mila persone. Nei giorni scorsi se da una parte Greenpeace ha ribadito che la contaminazione da Pfas è presente “in tutte le regioni italiane” verificate, e tuttavia i controlli sono ancora pochi nonostante il pericolo per la salute pubblica, a Roma alla Camera, a palazzo San Mancuto, si è tenuto il convegno “Pfas, stop ai veleni” durante il quale si sono registrati interventi all’insegna della messa al bando dei Pfas perché rappresentano un pericolo per la collettività. Come sta emergendo anche a Spinetta Marengo, frazione di Alessandria, dov’è situato il polo chimico della ex Solvay. Anche lì i problemi non mancano, tanto che le prese di posizione di residenti e Comitati si susseguono. Viene sempre più sottolineato che le Autorizzazioni integrate ambientali (Aia) devono essere analizzate con maggiore prudenza prima del rilascio da parte delle Province perché il rischio ambientale nel caso dei Pfas è elevatissimo. Oltretutto non si riescono ad eliminare nemmeno con l’incenerimento perché una volta immessi in atmosfera ritornano con la pioggia sulla terra. “La politica fa fatica a capire che questi veleni sono un problema di tutti”, ripete inascoltata Michela Piccoli, Mamma No Pfas.


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