Attualità

Melania Trump versus Hunter Biden: al centro Jeffrey Epstein

di Cinzia Rolli -


Hunter Biden, figlio dell’ex Presidente americano Joe Biden, ha dichiarato in un’intervista rilasciata a luglio al giornalista  Andrew Callaghan, presentatore del programma da lui creato sulla piattaforma YouTube Channel 5, che fu Jeffrey Epstein a presentare la First Lady al Presidente Trump.

La reazione di Melania Trump è stata tempestiva e dura. Ha inviato al suo “accusatore” tramite l’avvocato Alejandro Brito una lettera di diffida definendo le affermazioni del figlio di Biden denigratorie, diffamatorie e non corrispondenti al vero. Se Hunter Biden non ritirerà quanto dichiarato, la moglie di Trump sarà costretta a tutelare i propri diritti e interessi presso ogni più opportuna sede legale.  Per il danno causatole a livello di immagine e reputazione, nonché per la sofferenza morale subita, il  suo legale ha richiesto un miliardo di dollari.

Anche la reazione del Presidente americano non ha tardato ad arrivare. Il Tycoon ha subito appoggiato l’iniziativa  promossa dalla moglie tenendo a precisare, anche in un’intervista  rilasciata su Fox Radio il 13 agosto scorso, che Melania non ha nulla a che fare con Epstein e che lui l’ha conosciuta tramite un’altra persona, durante una festa per la Fashion Week di New York nel 1998.

Il conduttore di YouTube Callaghan ha mostrato in una successiva intervista del 14 agosto la lettera inviata dal legale di Melania Trump ad Hunter Biden, dandogli l’opportunità di scusarsi.  Ciò naturalmente non è avvenuto. Anzi il giovane Biden ha risposto con un secco “F… that. That’s not gonna happen (“Col cavolo. Non accadrà”). Egli si è giustificato affermando che quanto da lui detto è già stato scritto e riportato da altri. Primo fra tutti Michael Wolff, autore di una biografia molto discussa su Epstein. Nel 2019 anche i giornalisti del New York Times Edward Carney e Maggie Haberman avevano riportato la notizia, poi uscita anche su Vanity Fair. Ha quindi bollato la lettera di diffida ricevuta come una distrazione, un atto cioè volto a distogliere da ciò che conta davvero: l’abuso di minorenni.

Epstein è morto suicida in carcere nel 2019 mentre era in attesa dell’inizio del processo. La sua socia, Ghislaine Maxwell, invece, deve scontare una pena di vent’anni di carcere per il reato di traffico sessuale.

Tutto questo avviene in un contesto abbastanza acceso. Da un lato i democratici spingono perché le dichiarazioni della collaboratrice di Epstein rilasciate al dipartimento di giustizia vengano rese pubbliche, dall’altro i più forti sostenitori del movimento MAGA – Make America Great Again – non sono soddisfatti di come sia stato gestito il caso Epstein. Se in più aggiungiamo che sono vicine le elezioni di medio termine, il quadro è completo.

Due aspetti da chiarire in caso si procedesse con un’azione giudiziaria.  Le cause civili americane prevedono una fase di discovery, ossia una fase precedente al processo vero e proprio che consente la richiesta di prove di varia natura, anche elettronica, alla controparte o terzi. Ciò consente di fare una ricerca a 360 gradi sul proprio avversario.

Inoltre i personaggi pubblici hanno maggiore difficoltà rispetto ad una persona comune a provare il reato di diffamazione. Oltre alla libertà di stampa, infatti, si protegge il diritto delle persone a ricevere informazioni anche se errate. Bisogna quindi dimostrare che l’affermazione diffamatoria è stata volutamente e consapevolmente effettuata con malizia. Così la famosa sentenza della Corte Suprema nel caso New York Times Co. v. Sullivan.


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