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Micro e nanoplastiche raddoppiano infarti, ictus e rischio morte: uno studio in Campania

di Angelo Vitale -


Le micro e nanoplastiche sono dappertutto. Già rilevate in organi e tessuti umani, tra cui la placenta, il latte materno, fegato e polmoni e i tessuti cardiaci, per la prima volta sono state identificate perfino nelle placche aterosclerotiche, depositi di grasso nelle arterie, ancor più pericolose per il cuore. Lo rivela uno studio italiano che mostra che le placche aterosclerotiche “da inquinamento” sono perfino più infiammate della norma, più friabili ed esposte a rischio di rottura. Fattori che raddoppiano il rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto alle placche aterosclerotiche finora individuate.

L’ampio studio, coordinato da ricercatori dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli e pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, prova come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro e nanoplastiche a base di polietilene (Pe, rilevato nel 58,4% dei casi) o polivinilcloruro (o Pvc, individuato nel 12,5% dei casi), due dei composti plastici di maggior consumo nel mondo, utilizzati per realizzare prodotti che vanno dai contenitori ai rivestimenti, dalle pellicole plastificate a materiali per l’edilizia.

L’indagine è stata condotta su 257 pazienti con oltre 65 anni, che sono stati sottoposti a un’endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica, una procedura chirurgica durante cui sono state rimosse le placche aterosclerotiche. Poi analizzate con il microscopio elettronico così da rilevare l’eventuale presenza di micro e nanoplastiche, particelle plastiche con un diametro rispettivamente inferiore a 5 millimetri o a 1 micron (0,001 millimetri).

“L’analisi ha dimostrato la presenza di particelle di Pe a livelli misurabili (circa 20 microgrammi per milligrammo di placca) nel 58,4% dei pazienti e di particelle di Pvc (in media 5 microgrammi per milligrammo di placca) nel 12,5% – sottolinea Giuseppe Paolisso, coordinatore dello studio e ordinario di Medicina interna all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli di cui è rettore Gianfranco Nicoletti – . Tutti i partecipanti sono stati seguiti per circa 34 mesi e si è osservato in particolare che in coloro che avevano placche ‘inquinate’ dalle plastiche il rischio di infarti, ictus o di mortalità per tutte le cause era almeno raddoppiato, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari come età, sesso, fumo, indice di massa corporea, valori di colesterolo, pressione e glicemia o precedenti eventi cardiovascolari. I dati mostrano inoltre un incremento locale significativo di marcatori dell’infiammazione in presenza delle micro e nanoplastiche”.

“L’effetto pro-infiammatorio potrebbe essere uno dei motivi per cui le micro e nanoplastiche comportano una maggiore instabilità delle placche e quindi un maggior rischio che si rompano, dando luogo a trombi e provocando così infarti o ictus – spiega Raffaele Marfella, ideatore dello studio e ordinario di Medicina interna all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – Dati raccolti in vitro e negli animali da esperimento hanno già mostrato che le micro e nanoplastiche possono promuovere lo stress ossidativo e l’infiammazione nelle cellule dell’endotelio che ricopre i vasi sanguigni, ma anche che possono alterare il ritmo cardiaco e contribuire allo sviluppo di fibrosi e anomalie della funzionalità del cuore: questi risultati mostrano per la prima volta nell’uomo una correlazione fra la presenza di micro e nanoplastiche e un maggior rischio cardiovascolare”.

Del resto si tratta di sostanze diffusissime. Il Pe è una delle plastiche più utilizzate al mondo, tanto da costituire il 40% del volume totale della produzione mondiale di materie plastiche: è usato ampiamente per realizzare contenitori, oggetti, rivestimenti. Il Pvc è altrettanto diffuso ed è una delle materie plastiche più versatili, perché può essere modellato e stampato a caldo, ma anche sciolto per spalmare tessuti e superfici: si trova in innumerevoli prodotti, dai rivestimenti alle pellicole, dai tubi fino ai dischi in vinile. Entrambi possono dare origine a microscopiche particelle plastiche che si riversano nell’ambiente e possono poi essere assorbite. Secondo l’ultimo rapporto Future Brief della Commissione europea, in media un adulto inala o ingerisce dalle 39.000 alle 52.000 particelle plastiche l’anno, pari a 5 grammi di plastica alla settimana, l’equivalente di una carta di credito.

“Il nostro studio non ha indagato l’origine delle micro e nanoplastiche rilevate nelle placche aterosclerotiche – precisa Antonio Ceriello, dell’Irccs Multimedica di Milano -. Considerata l’ampia diffusione di Pe e Pvc, attribuirne la fonte di provenienza nell’uomo è pressoché impossibile. Sono soprattutto le particelle plastiche più piccole a poter penetrare in profondità nei tessuti, ma numerosi studi ne hanno rinvenute anche di dimensioni maggiori e in quantità rilevabili in molti organi umani: si sono trovate particelle con un diametro fino a 10 micron nella placenta, fino a 15 micron nel latte materno e nelle urine, fino a 30 micron nel fegato, fino a 88 micron nei polmoni, con un diametro superiore a 0,7 micron nel sangue. Sebbene i nostri dati non stabiliscano un rapporto di causa-effetto, tuttavia suggeriscono che le micro e nanoplastiche potrebbero costituire un nuovo, importante fattore di rischio cardiovascolare – avverte – di cui tenere conto”.


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