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MIGRANTI 007 LA MIA AFRICA

di Rita Cavallaro -

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La parola d’ordine sui migranti è diplomazia e collaborazione tra agenzie di sicurezza. Sono queste le linee operative tracciate nel corso del vertice a Palazzo Chigi sull’immigrazione, dove mercoledì la premier Giorgia Meloni, insieme ai due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani e alla presenza del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha discusso con i vertici dei servizi segreti i primi passi del Piano sui flussi migratori, tema prioritario per il governo italiano. Un summit durato due ore, durante il quale il sottosegretario con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, e il capo del Dis, Elisabetta Belloni, hanno fornito informazioni dettagliate sulla situazione del Nord Africa, con un focus sulla Libia, il porto di partenza dei barconi carichi di immigrati, e soprattutto sul Sahel, la frontiera ritenuta strategica per il controllo dei flussi migratori ma ormai da anni dimenticata, perché quella porzione di terra che si estende dall’Oceano Atlantico fino al Mar Rosso è diventata il principale crocevia di numerose rotte migratorie interne, oltre a essere finita nel caos a causa della forte radicamento di cellule jihadiste. In questa zona calda è il Niger a fungere da bacino di raccolta dei fantomatici migranti, che arrivano soprattutto da Nigeria e Burkina Faso e si dirigono verso la Libia attraverso il Fezzan, la porta d’accesso dove lo Stato non c’è. Dunque la soluzione per fermare i viaggi della speranza di migliaia di disperati sarebbe, secondo gli studi strategici, quella di creare un cuscinetto proprio nell’area, ripristinando la presenza delle istituzioni e delle agenzie di sicurezza. Solo così la regione potrebbe essere stabilizzata e si porrebbe un freno alle ondate di migranti diretti in Europa.
Un obiettivo ambizioso, che si pone sullo stesso piano delle idee di Giorgia Meloni, la quale vuole superare la politica del braccio di ferro sui porti tanto gradito a Salvini ed evitare scontri in Europa sul tema degli sbarchi. Già nei giorni caldi delle polemiche con la Francia per la Ocean Viking, la premier ha più volte sostenuto che l’impegno della maggioranza è sì quello di collaborare con gli alleati europei sulla gestione dei flussi migratori, ma è stata molto chiara nel sottolineare come il problema debba essere affrontato alla radice, con interventi diretti sull’Africa, in modo da bloccare le partenze dei barconi. Negli ultimi anni, sotto l’amministrazione dell’ex frontman dei servizi Franco Gabrielli, si è registrato il più totale immobilismo degli 007 italiani nel contrasto all’immigrazione clandestina. L’operatività sugli sbarchi si è ridotta al lumicino soprattutto in Aise e Aisi, che hanno perso qualsiasi contatto in Africa. A pesare sulla situazione che ha portato all’interruzione del flusso delle informazioni è stato il completo fallimento delle politiche dell’ex ministro Marco Minniti, i cui accordi bilaterali si sono tradotti in un flusso di denaro, elargito via Tripoli da Roma e Bruxelles, nelle mani del comandante libico Bija, finito poi in galera per traffico di esseri umani. E la scelta di dirottare fondi per fermare i migranti nei porti di partenza si è dimostrata così non essere una soluzione, in mancanza di strategie di intelligence strutturate sul territorio. Il risultato è che gli 007 italiani hanno lasciato ampia manovra alla Turchia, che di fatto ha allargato la sua rete, sostituendosi completamente ai nostri servizi informativi. In Libia, pertanto, la situazione è fuori controllo: l’attività di spionaggio all’interno delle fazioni libiche non è più garantita. L’Italia ha perso terreno, lasciando il presidio agli 007 turchi di Erdogan. Ora, sotto la guida di Mantovano, le spie italiane dovranno ricollocarsi sul territorio, attraverso lo scambio di informazioni con le altre agenzie internazionali, per raggiungere accordi che possano andare al di là degli impegni dell’Europa, finora rimasta a guardare, e siano il preludio all’avvio di quello che Meloni chiama il Piano Mattei per l’Africa, da condividere tra gli alleati a Bruxelles. In questi mesi, dunque, le spie italiane dovranno riposizionarsi nelle aree sensibili del Mediterraneo, per preparare la strada diplomatica e garantire la sicurezza anche in vista dei prossimi summit istituzionali del governo. Intanto già oggi Tajani sarà in Turchia, per un incontro con il ministro degli Esteri Mevlut Çavusoglu. Una bilaterale ritenuta rilevante, vista la posizione di Ankara come attore centrale sullo scacchiere libico. Sempre in Turchia, lunedì, arriverà Piantedosi, per parlare con il suo omologo della questione sbarchi. Le prossime tappe per il titolare della Farnesina saranno Tunisia e Libia, dove la stessa premier starebbe predisponendo i futuri vertici. Primo tra tutti quello in Algeria, paese strategico non solo per la questione migranti ma soprattutto per quella energetica. Resta comunque alta l’attenzione su Tunisi, attualmente attraversato da un periodo di forte instabilità, a causa della crisi economica e istituzionale, che sta alimentando le partenze dei migranti. Tanto che il ministro Tajani ha sottolineato come il Paese “sta diventando una piccola Libia” e ha già chiesto al suo omologo tunisino “maggiori controlli sulle partenze”.

Il summit di mercoledì tra maggioranza e servizi è stato poi l’occasione per discutere il dossier ucraino, visto che l’Italia deve ancora dare una risposta sull’invio dello scudo di difesa aerea Samp-T. Non è esclusa, comunque, la fornitura del sistema di produzione italo-francese, come chiesto da Washington. Infine è stato affrontato il tema terrorismo, immigrazione e bande sul territorio nazionale. L’aumento degli sbarchi sulle nostre coste, difatti, non fa altro che gonfiare le fila della criminalità, soprattutto quella nigeriana, dedita a traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e vendita di organi umani sul mercato nero.


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