Politica

 “Migranti, è una sfida per l’Europa Bene il decreto sbarchi ma ora serve un Piano Marshall Ue per l’Africa”

di Giovanni Vasso -

ALESSANDRO BATTILOCCHIO FI


Per affrontare il fenomeno planetario dell’immigrazione è necessario un approccio di ampio respiro, a livello europeo, che, partendo dalla difesa delle frontiere comunitarie, riporti l’Ue a “dialogare” con i suoi vicini, prima che lo faccia qualcun altro. Ci vuole, insomma, più collaborazione, più visione d’insieme, più coraggio e, soprattutto, un grande piano Marshall europeo per l’Africa. A lanciare la sfida è Alessandro Battilocchio, deputato di Forza Italia, che, oltre a essere membro della Commissione Esteri e responsabile del dipartimento Immigrazione di Fi, ha partecipato, nel tempo, a numerose missioni diplomatiche internazionali.

 

Quale è la posizione di Fi sul decreto sbarchi?
Siamo favorevoli. Il decreto va nella direzione giusta e per certi aspetti ricorda il codice di condotta Ong promosso, nel 2017, dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti. Bene, dunque, il decreto ma il cammino da intraprendere è più generale.

 

In che senso?
Riteniamo che sia imprescindibile trattare la questione dell’immigrazione all’interno di una cornice europea, con la condivisione di responsabilità, oneri e una solidarietà attiva tra tutti i 27 Paesi membri. Per questo siamo soddisfatti dell’iniziativa di Ursula von der Leyen che, per il 9 e il 10 febbraio prossimi, ha indetto un consiglio europeo straordinario sul tema. Nel suo messaggio, la presidente della Commissione ha scritto testualmente che “l’immigrazione è una sfida europea alla quale dobbiamo dare una risposta”.

 

Dall’Ue è giunta qualche perplessità sul decreto…
Possiamo discutere sui singoli aspetti, certo. Tuttavia è chiaro che il decreto è nel pieno rispetto delle normative internazionali. Il concetto di fondo, quello che deve passare, è che gli Stati di confine non possono essere lasciati soli, come è avvenuto troppo spesso in passato. Per questo, la convocazione del consiglio europeo sulle migrazioni, ottenuta anche grazie al pressing del nostro governo, è importante perché fa entrare, a pieno titolo, il tema nell’agenda istituzionale comunitaria.

 

Di cosa si parlerà a febbraio?
Von der Leyen, nella sua lettera, individua quattro aree in cui agire per fare la differenza nell’immediato. Si tratta di punti condivisibili legati, tra l’altro, al rafforzamento delle frontiere esterne, al miglioramento delle procedure dei rimpatri, alla necessità di garantire una maggiore solidarietà tra i Paesi membri, l’intensificazione della cooperazione con i partner per migliorare la gestione dei flussi. La cosa più importante è stata, però, quella di aver rimarcato la necessità di affrontare il tema in una cornice europea.

 

Quale strategia dovrebbe attuare l’Ue?
Partendo dal fatto che il contrasto all’immigrazione clandestina e la tutela della sicurezza delle frontiere deve essere il presupposto di ogni politica che parli di immigrazione, ci sono aspetti, che io ho evidenziato in aula, legati, per esempio, alla sinergia internazionale, alla necessaria interazione con i Paesi di transito. Durante il suo governo, il presidente Berlusconi aveva dato il via a queste intese bilaterali hanno portato a risultati importanti. Le visite di questi giorni di Meloni, Tajani e Piantedosi in Libia, così come gli incontri del nostro ministro degli Esteri in Turchia e nei Balcani vanno proprio in questa direzione. Penso poi che si dovrebbe fare ancora di più, ma come Europa…

 

Cosa?
Un aspetto nodale è quello che in Forza Italia, con il presidente Tajani, abbiamo chiamato il piano Marshall per l’Africa. Oltre ai piani contenitivi, alla regolamentazione dei flussi di un’immigrazione regolare e ordinata coi Paesi di partenza, occorre avviare un piano di investimenti sotto l’egida della Commissione Ue che rappresenti un cambio di paradigma reale nel rapporto con l’Africa. È basilare riprendere il ragionamento con gli Stati del continente che si è un po’ raffreddato dopo gli eventi del 24 febbraio (con l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina ndr). Investire in Africa ci consentirà, da un lato, di offrire, alle popolazioni locali, quel diritto a non emigrare fissato da papa Benedetto XVI, dall’altro rafforzare un rapporto con i nostri “vicini” che altrimenti rischiamo di perdere, a tutto vantaggio di altre potenze.

 

Come la Cina, per esempio?
Esatto.

 

Nel 2020, la Commissione Ue aveva lanciato il nuovo patto sull’immigrazione e sull’asilo. A che punto siamo?
Si tratta di un documento strategico importantissimo su cui c’è una trattativa serrata. Che però, in questi ultimi tempi, ha segnato un po’ il passo. Sia con il governo italiano, che con la nostra rappresentanza all’europarlamento, stiamo seguendo il piano che rappresenterà la cornice stessa dell’intervento dell’Ue sul tema dell’immigrazione. Ripeto: ritengo che il decreto sbarchi vada nella giusta direzione, è fondamentale garantire il controllo e la sicurezza delle frontiere, è fuori discussione il contrasto all’immigrazione clandestina. Rappresenta il presupposto basilare dal quale partire, che va “completato” con una visione generale e ampia, di lungo e largo respiro.


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