Milano, sospetti su Sala indagato: città sotto scacco
Anche il primo cittadino nell'occhio del ciclone dell'inchiesta. I Pm "Era consapevole" e lui nega
L’accusa è pesante, anche il sindaco è indagato: Beppe Sala (nella foto) è nella lista dei 74 indagati per l’inchiesta che riscrive, a colpi di verbali, intercettazioni e WhatsApp sequestrati, il retroscena della trasformazione urbanistica milanese a colpi di miliardi di euro.
In mezzo ci sono milioni di metri cubi, cantieri come il Pirellino e l’Arena Santa Giulia, sviluppatori di peso internazionale, assessori pressati e commissari “convinti” a cambiare parere. C’è tutto. Politica, archistar, fondi sovrani, speculazioni e pressioni. C’è la città diventata vetrina del cambiamento, ma anche teatro di una pressione costante tra interesse pubblico e rendita privata. E c’è la figura di un sindaco che è parte attiva di una indagine che scuote dalle fondamenta la narrazione di Milano come capitale etica della rigenerazione urbana. I nomi sono noti.
Milano, inchiesta urbanistica: chi è indagato oltre il sindaco Sala
L’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, l’ex presidente della Commissione Paesaggio, Giuseppe Marinoni, l’architetto Stefano Boeri e l’imprenditore Manfredi Catella, fondatore di Coima Sgr, gestore di 10 miliardi in asset immobiliari, partner di fondi sovrani come Qatar, Singapore e Abu Dhabi. Oltre cento i cantieri nel mirino della Guardia di Finanza. L’ipotesi è un sistema a cerchi concentrici. Dove la politica avrebbe piegato le procedure per favorire i privati. E dove il sindaco, nel caso del Pirellino, sarebbe stato più che informato.
È qui che prende forma l’ipotesi di reato a suo carico: concorso in induzione indebita a dare o promettere utilità. Non una ma due le ipotesi al vaglio: anche false dichiarazioni legate alla nomina di Marinoni, pur conoscendone i conflitti d’interesse. Il Pirellino è un po’ il cuore dell’inchiesta. Boeri e Catella volevano portare a casa il via libera al progetto sul grattacielo ex sede della Regione. La Commissione Paesaggio aveva bocciato due volte l’intervento, parlando di impatto spropositato (“una barriera di vetro alta 100 metri per 30 per 40”). Ma qualcosa cambia il 22 giugno 2023. Da “non ammissibile” a “favorevole condizionato”.
Le telefonate e i messaggi: “C’è una situazione che mi fa paura”
Nel mezzo, secondo gli inquirenti, ci sono messaggi vocali, pressioni, telefonate. Boeri manda un whatsapp a Sala: «Da amico ad amico, ti dico che c’è una situazione che mi fa paura… prendilo come un warning per domani». Il sindaco risponde: «So quello che mi riferiscono. Devo fidarmi del giudizio di Giancarlo». Il giorno dopo il parere cambia. “Le obiezioni sono sparite”, dice Boeri a Catella, e il progetto riparte. A distanza di mesi, il quadro si è completato. Per la Procura, Tancredi – pressato da Boeri e Catella, e temendo rotture personali e politiche – avrebbe spinto Marinoni a modificare il parere.
E il sindaco Sala ne era consapevole? Per i Pm sì. Lui nega. Una pressione politica trasformata in condizionamento. Tuttavia il Comune è ricorso al Consiglio di Stato e i nodi urbanistici sono al vaglio della giustizia amministrativa. “Io osservo la legge e non mi dimetto”, replica Sala. La città dunque assiste. La giunta resiste. Ma fino a quando? La linea è garantista, come osserva il ministro Nordio, che ricorda il ruolo del Gip e la necessità di interrogatori prima di ogni misura cautelare. Sei quelle sollecitate ai domiciliari oltre che per Tancredi, Catella e Marinoni, anche per l’architetto Alessandro Scandurra e gli imprenditori del mattone Federico Pella e Andrea Bezziccheri.
Eppure, le domande salgono. A destra si invocano dimissioni. Ma c’è chi ricorda che il viceministro Andre Delmastro (condannato) e la ministra Daniela Santanchè (imputata) sono ancora al loro posto. Geometrie variabili. Fino a che punto? Milano vive di grandi promesse urbanistiche. La rigenerazione è un mantra. Ma accanto alle torri di vetro e agli scali ferroviari trasformati in parchi di lusso, la sensazione è che la politica (in questo caso del centrosinistra) abbia smarrito il confine tra visione pubblica e corteggiamento privato. E che lo sviluppo sia stato affidato più alle pressioni dei grandi costruttori che a un disegno condiviso. La Procura va avanti. La politica si arrocca. Intanto si spalanca un vuoto: quello della fiducia. Perché non è solo una storia di reati, ma anche di potere. Di come si decide. Di chi comanda. Di chi, nelle stanze del Comune, ha la forza per dire no.
E chi, invece, quel no lo trasforma in un sì condizionato, per “evitare grane”. Milano non è solo cemento e skyline. È anche memoria civile. E oggi si trova di fronte a una scelta. O continua a raccontarsi come la città dell’efficienza che può permettersi qualche scorciatoia. Oppure affronta la realtà: che in nome del cambiamento si è costruito un sistema che ora chiede conto. Il sindaco è indagato. L’urbanistica è diventata affare giudiziario. E i milanesi meritano risposte, non slogan.
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