Monaco: Khabib e la stretta di mano mancata per motivi religiosi
Monaco di Baviera, Allianz Arena. Il Paris Saint-Germain ha appena sollevato la Champions League. L’atmosfera è festosa, le telecamere di CBS Sports Golazo immortalano le reazioni dei protagonisti, tra interviste, commenti tecnici e momenti di leggerezza. Uno dopo l’altro si alternano sul set sportivi, opinionisti e ospiti d’eccezione. Tra questi, anche Khabib Nurmagomedov, leggenda imbattuta delle arti marziali miste e simbolo globale della disciplina.
Khabib si presenta con il consueto aplomb: saluta con calore gli ex calciatori Thierry Henry, Jamie Carragher e Micah Richards. Ma al momento di stringere la mano alla conduttrice Kate Scott, l’ex campione del mondo UFC si ferma, sorride, porta la mano al petto in segno di rispetto e non compie il gesto. La giornalista intuisce subito la situazione, risponde con discrezione e il dialogo prosegue senza intoppi.
L’episodio, fugace e privo di clamore in diretta, ha però sollevato interrogativi più profondi fuori dallo stadio. Khabib è musulmano sunnita e proviene dal Daghestan, una repubblica della Federazione Russa dove la religione islamica è ampiamente praticata. Secondo una consolidata interpretazione della sua fede, l’uomo non dovrebbe avere contatti fisici con donne che non siano parte della propria cerchia familiare.
In contesti internazionali, dove culture e codici comportamentali si intrecciano, simili situazioni diventano oggetto di riflessione. Il gesto dell’ex lottatore non ha avuto nulla di ostile o provocatorio. È stato, anzi, accompagnato da rispetto e consapevolezza. Ma proprio in quanto simbolico, quel gesto richiama un confronto aperto su ciò che, in molte società occidentali, è ritenuto universale: la stretta di mano come forma basilare di riconoscimento reciproco, rispetto e parità. La mancata stretta di mano non è uno scandalo, ma un’occasione per fermarsi e riflettere. Perché dietro ai gesti più semplici si celano i nodi più complessi della convivenza globale.
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