Attualità

Moschee a Monfalcone, Cisint: “Diritto di culto soggetto alle leggi”

di Domenico Pecile -


Il Consiglio di Stato ha bocciato la decisione del Comune di Monfalcone di vietare l’uso di due edifici per le preghiere e per i quali era stato ordinato il ripristino della destinazione d’uso. Il provvedimento ha accolto dunque gli appelli cautelari delle associazioni islamiche Darus Salaam e Baitus Salat di Monfalcone. Il provvedimento inoltre precisa che “l’amministrazione comunale è tenuta a individuare, in contraddittori con gli interessati e con spirito di reciproca e leale collaborazione, siti alternativi accessibili e dignitosi per consentire ai credenti l’esercizio della preghiera”, fissando un tavolo di confronto entro sette giorni.
Immediata la replica della sindaca leghista Anna Maria Cisint che da mesi e mesi conduce una battaglia frontale contro quella che definisce l’islamizzazione strisciante del suo comune, dove la presenza islamica rappresenta oltre il 30% della popolazione. La sindaca ha accolto di buon grado la decisione del Consiglio di Stato che – dice – conferma su tutta la linea le ragioni dell’amministrazione comunale che hanno motivato i provvedimenti sui due centri islamici e “chiarisce in maniera indiscutibile che essi non possono essere utilizzati come luoghi di preghiera, ribadendo la fondatezza delle motivazioni del Comune. Ci siamo sempre mossi nel segno della legalità e dell’esigenza di fare rispettare le regole, che devono valere per tutti i cittadini”. Secondo la sindaca, dunque, il Consiglio di Stato ha colto in pieno questo presupposto che “non ha nulla a che vedere con gli aspetti della libertà di culto che, invece, sono stati strumentalizzati in modo violento, tanto da obbligarmi alla scorta personale per le minacce ricevute”.
Resta, tuttavia, aperto il nodo relativo alla richiesta del Consiglio di Stato che invita l’amministrazione comunale a individuare “siti alternativi e dignitosi” per consentire ai credenti l’esercizio della preghiera. Sottolineando che il Comune ha funzioni pubbliche ben definite e che non può sostituirsi nelle cure degli interessi privati, la sindaca Cisint, nel merito della disposizione del Consiglio di Stato che prevede la convocazione di un tavolo entro sette giorni, ha confermato l’attuazione della disposizione e ha rilevato che “non mi pare che da parte degli interlocutori ci sia una reale disponibilità a confrontarsi, considerando anche che non pare che in questo periodo ci sia stato un pieno rispetto delle ordinanze e delle disposizioni della magistratura che hanno inibito l’utilizzo degli spazi come luoghi di preghiera. Intendo, comunque, muovermi nel rigoroso rispetto del principio che gli interessi generali della comunità e della città non possono essere subordinati alle pretese di una minoranza e agire nei limiti e secondo le disponibilità dell’amministrazione comunale in merito”.
Le due associazioni si erano rivolte alla giustizia amministrativa contro le due ordinanze relative, appunto, a due diversi edifici utilizzati per la preghiera ma aventi invece diverse destinazioni d’uso. Il Comune, come detto, aveva ordinato il ripristino della destinazione d’uso originaria. A fine febbraio il Consiglio di Stato aveva accolto “provvisoriamente l’istanza di misure cautelari monocratiche” e sospeso “provvisoriamente” le ordinanze cautelari impugnate. Il provvedimento era stato assunto anche in vista del Ramadan. Il braccio di ferro tra la Cisint e la minoranza islamica è destinato a continuare. Anzi, le rispettive posizioni potrebbero registrare un irrigidimento. La sindaca aveva difeso e giustificato i provvedimenti affermando che avrebbero sgretolato “il muro di un tabù che tollera l’esistenza di centri islamici che agiscono come zone franche di predicazione, impermeabili al controllo, dove non si pratica l’uso della lingua italiana e dove chiunque può trovare rifugio, come dimostra il caso dell’algerino arrestato tempo addietro a Milano”. Dopo avere scongiurato la realizzazione di una grande moschea in città, Cisint ricorda ora che queste associazioni sono chiamate “a rispettare le regole del Piano regolatore, che si applicano a tutti i cittadini e sulla cui violazione proliferano molto spesso queste strutture. Nel contempo vogliamo rispondere alle istanze di sicurezza della popolazione in un contesto nel quale anche nelle nostre strade si manifestano espressioni che inneggiano al fondamentalismo e al terrorismo palestinese”.


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