Politica

“Movimento senza territorio. Conte non è il nostro leader”

di Edoardo Sirignano -

EMANUELE DESSI' PARTITO COMUNISTA


“Virginia Raggi è l’unica vincitrice all’interno del Movimento. Il partito di Conte non è a misura di territorio”. A dirlo l’ex senatore pentastellato Emanuele Dessì.

La sorprende la debacle del M5S in Lazio e Lombardia?
Assolutamente no! A livello nazionale viene premiato perché sfrutta temi identitari come il reddito di cittadinanza e l’ecobonus, che però non funzionano a livello territoriale. Qui serviva una struttura organizzata in grado di consentire ai singoli di acquisire quel consenso, in grado di essere trasferito poi sul simbolo.

Si tratta di un problema atavico…
Sono anni che denuncio la mancanza di organizzazione. Il partit non c’è e lo si vede dal modo come vengono realizzate le liste. Nel Lazio, ad esempio, troppi i candidati doppione, mentre sono stati lasciati fuori amministratori. Basti pensare al caso di Ostia. Se il Movimento avesse premiato quell’attivismo di tanti anni nella comunità, che ha consentito ai gialli di avere il presidente di circoscrizione e combattere la criminalità balneare, si sarebbe data una giusta rappresentanza a un territorio fondamentale per il Movimento. Si è preferito, invece, candidare un ex consigliera regionale, un ex parlamentare e un’attivista storica, che insieme hanno preso 900 voti. La gara interna tra gruppi è la vera piaga dei 5 Stelle.

Esistono più correnti nel Movimento che nel Partito Democratico?
Le correnti ci sono sempre state. Prima c’erano quelle dei grillini e dei casalleggesi, poi dei contiani e dimaiani. Ora ce ne sono molte altre, pure se meno conosciute. A prevalere, però, è l’incapacità di fare rete. In queste ultime regionali, l’unica priorità è stata dimostrare chi è il più bravo e non fare squadra. I meritevoli così restano da parte.

Rispetto ai temi, sono stati commessi degli errori?
La verità è che la campagna elettorale, alle ultime regionali, non l’ha fatta nessuno o meglio ancora è stata al risparmio. Il risultato era già scritto da mesi. Si attendevano solo le percentuali sull’affluenza. Tutti sapevano che avrebbe vinto il centrodestra. Detto ciò, il problema del Movimento non sono i temi, ma un sistema elettorale, che non premia le proposte e mette al centro l’eletto. Questo deve avere una storia di coerenza e soprattutto di presenza sul territorio. Il caso Righini lo dimostra. Pur essendo lontanissimo dalla mia politica, è stato premiato perché da venti anni è dalla stessa parte, porta avanti le medesime battaglie.

Più di qualcuno, intanto, se la prende con l’ex sindaco della capitale…
Cosa pretendevano dalla Raggi, dopo che gli hanno chiuso le porte in faccia. Non è mai stata tutelata come primo cittadino, come persona. Mezzo mandato da consigliere comunale non può valere come uno da parlamentare. Per una buffonata di dimensioni bibliche, è stato dispersa la credibilità acquisita nella capitale. Può piacere o meno, è sbagliato buttare il nostro sindaco come un fastidio. Nonostante ciò, è stata l’unica vincitrice nel Movimento. Ha portato in Consiglio regionale, d’altronde, il suo braccio destro come primo degli eletti.

Non ritiene siano stati abbandonati anche quegli assessori che fino a ieri avevano governato con i dem nel palazzo di vetro della Regione Lazio?
Non è una questione di abbandono. Per un problema di antipatia personale di Conte con Calenda e Renzi si sono perse le elezioni. Questa è la realtà. In Lombardia, i 5 Stelle sono stati parte residuale di un’ammucchiata. Nel Lazio, invece, si è pensato a recuperare personaggi residuali, non considerati più da nessuno. Pecoraro Scanio, Fassina e De Pretis certamente non sono una novità. Nulla contro le persone, ma dovevano fare operazioni di sinistra e non portare l’uno per cento al M5S, ormai diventato il partito personale di Conte. La modifica dello statuto, che farà votare agli iscritti, va in questa direzione.

Anche la sinistra, però, non è pervenuta…
La sinistra non esiste più come entità, come casa di popolo. Si sovrappone semplicemente a un Pd, che però non ne rispecchia i valori. La proposta dei dem è speculare a quella del centrodestra, dal lavoro, passando per l’ambiente fino alla politica estera. Non vedo differenze. Tra la copia sbiadita e l’originale, probabilmente la gente preferisce la seconda opzione. Ecco perché vince Meloni. Non c’è un’area culturale in cui ci sia omogeneità di interessi e ideali. Ciò è la causa dell’astensionismo. Mentre Bonaccini e Schlein parlano di cambiamento, gli eletti in Lazio e Lombardia sono gli stessi da venti anni.

Basta aprire i circoli per risolvere ogni problema?
Ci sono sempre stati. La sola differenza è che prima si chiamavano Meetup. Dal 2007, c’è un’agenda di gruppi che partecipano. Con questa fantomatica riorganizzazione, si è voluto solo dare una medaglietta a qualche vecchio attivista più vicino al capetto di turno. La persona incaricata, intanto, non avrà né i mezzi, né il tempo, né le capacità di spesa per poterlo fare.

Non ritiene che le regionali siano diventate solo un problema di soldi?
Ha perfettamente ragione. La passione l’abbiamo persa da tempo. Sono finite le grandi emozioni ideologiche degli anni scorsi. Destra e sinistra hanno rinnegato il loro passato. La militanza di cuore non esiste più. Oggi semplicemente tutto costa. Questa è la battaglia che doveva intestarsi il M5S e non lo ha fatto. Così sarebbe stato un partito a misura di territorio. Preferisce, invece, sopravvivere, spendendo la capacità comunicativa del leader di turno.


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