Museo Leonardo3: cronaca di una chiusura annunciata
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Dopo la chiusura della storica Scuola del Fumetto milanese, ora tocca al Museo Leonardo3. Un’altra eccellenza culturale cittadina, premiata dalla Presidenza della Repubblica e visitata da oltre due milioni di persone, rischia di sparire nel silenzio. Nessun dibattito pubblico, nessuna assunzione di responsabilità politica. La giunta di sinistra tace, mentre i funzionari procedono. Con metodo. Atti, formalismi, ostacoli. L’indifferenza o il non volerne essere coinvolti, più che una decisione, si fa strumento operativo. Come nel calcio: se non riesci a fermare l’avversario, lo metti in fuorigioco. Una tattica che sembra adattarsi perfettamente alla burocrazia.
Sotto il fuoco incrociato di delibere, PEC e nuove linee guida, c’è il Museo Leonardo3. Nessuno sfratto formale, nessuna ordinanza. Solo silenzi, scadenze ignorate, ostacoli burocratici. E carte che finiscono inevitabilmente al TAR. Dal 1° agosto 2025, il museo potrebbe risultare anche “illegale”: ad oggi mancano due autorizzazioni – la licenza di pubblico spettacolo e il permesso di occupazione suolo pubblico – da vent’anni sempre rinnovate. E senza quei documenti, il museo è tecnicamente fuorilegge.
Il museo Leonardo3 non ha vetrine in Galleria. È invisibile, se non per un video-cartellone che ne indica l’ingresso. Quel cartellone, appoggiato su due colonne, da oggi è considerato “occupazione abusiva di suolo pubblico”. È lì, autorizzato da vent’anni, ma ora non va più bene. Senza di esso, il museo scompare alla vista. Diventa fantasma. E il conflitto con Palazzo Marino si riaccende. Lo stesso ingresso è stato affidato in coabitazione a un’altra attività: il Duomo 21 (non l’Hollywood), locale esclusivo con terrazza sul Duomo. Visitatori e scolaresche condivideranno accesso, scala e ascensore con gli ospiti della movida. Tutto previsto da un bando comunale, vinto – che fortuna – proprio dal locale di lusso per i ricchi vip della notte.
Museo Leonardo3 le parole del direttore Massimiliano Lisa
Massimiliano Lisa, direttore del Museo, ha deciso di non tacere. “Mi hanno consigliato di non rilasciare dichiarazioni”, racconta. A suggerirglielo, un alto funzionario comunale. Ma Lisa ha scelto un’altra strada: ha segnalato alla Guardia di Finanza, ha denunciato alla magistratura. Il museo ha accolto milioni di visitatori, ricevuto patrocini istituzionali e promosso mostre internazionali. E oggi? Diventa un problema. Da rimuovere. Perché? Cosa è cambiato? Cos’è che infastidisce oggi l’amministrazione? Eppure il Museo paga 550 mila euro annui di affitto, in linea con tutti gli altri vicini di ‘casa’.
Il contenzioso tra museo e Comune dura da due anni. Ma la questione non è solo giuridica. È politica. È sistemica. Leonardo3 è un museo privato. Non fa parte di reti di potere, non è protetto da partiti, non ha santi in paradiso. Forse è proprio questo il suo errore: non avere nemmeno un “facilitatore”. Dietro la facciata di permessi e concessioni si intravede una strategia: ridefinire spazi, riposizionare interessi, trasformare il volto della Galleria. Qualcuno ci guadagna. La cultura, in questa partita, è solo un ostacolo. Da rimuovere in silenzio.
A Palazzo Marino governa la sinistra, quella del “campo largo”, la stessa che ambisce a guidare la Nazione. Ma su Leonardo3 cala un silenzio pesante. Perché? C’è però chi prende posizione. Il consigliere comunale Riccardo Truppo (Fratelli d’Italia) ha chiesto chiarimenti ufficiali: “Non possiamo rimanere in silenzio. Leonardo3 è un patrimonio della città. Serve trasparenza. Serve volontà politica per salvarlo. Le beghe amministrative vanno superate dall’interesse politico generale per la tutela di un bene pubblico”. Parole nette, che risuonano nel Palazzo. Non si parla solo di cartelloni o permessi, ma di scelte. Di priorità. Di visione.
Il Museo Leonardo3 non sarà chiuso da un’ordinanza. Verrà spento dall’indifferenza. Ogni giorno che passa è un passo verso la fine. Forse toccherà alla magistratura far luce. Ma prima ancora, spetterebbe alla città. Dov’è la società civile? Dove sono le associazioni culturali, i difensori della bellezza pubblica?
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