Negozi chiusi, Sangalli e Manfredi con il cappello in mano
Finora, miliardi alle città per la "rigenerazione urbana" ma le serrande si abbassano per altri motivi
Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli – e gli si accoda il presidente di Anci Gaetano Manfredi (sindaco di Napoli) – ha chiesto a quattro ministri del governo Meloni di attribuire direttamente a Comuni e Città Metropolitane le risorse del Fondo nazionale per la rigenerazione urbana (80 milioni di euro, di cui 50 milioni per il 2025 e 30 milioni per il 2026) agitando il tema della desertificazione commerciale e il dato di 118mila negozi al dettaglio chiusi in Italia negli ultimi dodici anni.
Può darsi che il governo – Sangalli scrive a Giorgetti, Piantedosi, Pichetto Fratin e Salvini – dia ascolto, senza pensarci più di tanto, a questo “grido di dolore”: è il gioco della politica da decenni. In ogni caso, L’identità con questo articolo prova ad approfondire rapidamente l’argomento, che appare troppo bruscamente collegato al tema della “rigenerazione urbana”, quasi proponendo un ragionamento che individui la chiusura dei negozi come effetto di città poco “rigenerate”.
I negozi chiudono: perché
Non è così, frequentemente lo spettro della desertificazione è stato agitato localmente in Italia da Confcommercio e di associazioni di categoria del settore addossandone la colpa a municipalità ogni volta responsabili del fatto. Senza che mai – non c’è traccia di analisi e studi interni che lo facciano – lo stesso comparti si interroghi, per esempio, sulle mancate diversificazioni d’impresa e sui suoi errori.
E’ vero, semmai, proprio il contrario. Lo dimostra lo stesso progetto Cities di Confcommercio, laddove ha evidenziato che sia la chiusura massiccia di negozi a impoverire città e quartieri e minacci la vivibilità, la sicurezza e l’attrattività urbana.
Mentre Anci ha sempre affermato l’importanza di politiche urbane integrate che coniughino sviluppo economico, sociale e ambientale per contrastare la desertificazione.
Negozi chiusi, Confcommercio e Anci con il cappello in mano alla porta di Meloni
La domanda, allora, è: perché “bussare a soldi” provando a far arrivare il carretto delle risorse direttamente nelle mani dei sindaci quando finora, tranne in rarissimi casi, le policy locali non hanno invertito la rotta delle “serrande abbassate”?
A Genova, la riqualificazione del Porto Antico ci ha messo oltre trent’anni a cominciare a dare frutti, e intanto lo scenario globale e nazionale del commercio si trasformava a vista d’occhio. Così per la Rinascente a Torino, nel chiacchieratissimo CityLife di Milano finito recentemente in una bufera giudiziaria e che, semmai, ha aumentato la desertificazione sociale portando gli affitti degli immobili abitativi a un’impennnata dei prezzi. Così a Rimini o a Bari e altrove.
La chiusura dei negozi – Sangalli e Manfredi lo sanno fin troppo bene – trova le sue cause nei cambiamenti strutturali nell’economia e nelle abitudini di consumo, inclusa la crescita dell’e-commerce e la crisi di alcune attività tradizionali. Nell’incremento degli affitti e nelle difficoltà per le piccole attività nel mantenere la sostenibilità economica. Nella riduzione dei servizi connessi, come gli sportelli bancari, che indeboliscono la rete commerciale e sociale urbana (che nessun sindaco potrà mai contrastare). Nella necessità di politiche integrate che vadano oltre la riqualificazione fisica e coinvolgano aspetti economici, sociali e di governance urbana.
Milioni di risorse statali, città “rigenerate” poco e male
Aspetti che finora – lo insegna il Pnrr con tutti i suoi ritardi, specialmente locali – le città non hanno quasi mai affrontato. E il Pnrr ha destinato circa 9,8 miliardi di euro per progetti di rigenerazione urbana, su un totale di circa 11,7 miliardi impegnati da Comuni e Città metropolitane su questo tema fino al 2024, senza contare un Fondo tematico PUI da 272 milioni di euro dedicato al sostegno di partenariati pubblico-privati nelle città metropolitane per la rigenerazione urbana.
Serve calmierare gli affitti, migliorare la mobilità sostenibile e condividere con convinzione la chiusura al traffico dei centri urbani, rimodulare l’offerta commerciale contrastando il commercio elettronico o cannibalizzandolo, ispirare al digitale l’offerta della città senza ogni volta sbandierare di volerlo fare senza metterlo in pratica.
Azioni di vera “rigenerazione urbana”, che quasi ovunque non sono state fatte. Azioni difficili. Molto più facile, invece, diventare facili imbuti di milioni di euro da gestirsi all’ombra dei municipi senza dar conto del raggiungimento reale dell’obiettivo iniziale.
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