Economia

Nella morsa del Fisco. Quanto pesa l’evasione nel Paese dei tartassati

di Cristiana Flaminio -

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“Una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente; la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale”. La Cgia di Mestre traccia la rotta al governo. Le parole devono essere seguite dai numeri e i numeri devono essere finalizzati a raggiungere dei traguardi precisi perché “il mancato raggiungimento di questi punti costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze sollevate dai contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato”. Se la necessità di sburocratizzare e avvicinare il contribuente all’erario rappresenta il tema dei temi degli ultimi anni, quello dell’evasione è un argomento dolentissimo su cui proprio l’ufficio studi della Cgia mestrina intende fare chiarezza. E farla rispetto ai proclami lanciati dal Mef e dall’Agenzia delle Entrate. “Avviamo finalmente cancellato l’evasione?”. No, non ci siamo nemmeno vicini.
L’analisi dei numeri è impietosa. Partendo dalla somma che non fa il totale: 68,9 miliardi in più di entrate tributarie, più 20,2 miliardi di evasione e il “blocco” di frodi per circa 9,5 miliardi. L’addizione fa 98,6 miliardi. La stima è inferiore, seppur di poco, a quelle dell’evasione che si aggirerebbe attorno ai 100 mld. Ma le cifre, spiegano dalla Cgia, vanno lette. Così, dei 68,9 mld di entrate fiscali in più, gran parte dipenderebbe dalla ripresa economica. Gli strumenti messi in campo per rendere la vita più dura ai furbetti hanno più o meno funzionato. Già, perché i grandi evasori restano tali, a cominciare dagli “sconosciuti al fisco” per finire a tutta l’economia sommersa legata alle attività illegali. C’è poi la questione, spinosissima, degli Over the top, delle multinazionali (specialmente quelle digitali) che risulterebbero “poco fedeli” al Fisco. E l’inchiesta di Milano, recentissima sull’Iva che avrebbe evaso Facebook per le attività in Italia ne sarebbe un esempio plastico. Che restituisce anche il senso delle cifre di cui si parla: Meta è accusata di non aver versato l’imposta sul valore aggiunto per una somma pari a 870 milioni di euro.
Se le multinazionali festeggiano, le famiglie boccheggiano. La pressione fiscale è arrivata al 43,5 per cento. Più che in Italia, siamo quasi nella Nottingham di Robin Hood, dello Sceriffo e dell’esoso principe Giovanni. Più che dalle tasse in sé, la stangata arriva (anche) dall’inflazione. Secondo la Cgia mestrina, difatti, l’esplosione dei prezzi ha dilatato anche le imposte indirette. Come l’Iva, per esempio. Ma anche le accise e gli altri balzelli che si calcolano a percentuale sul prezzo “finito” dei beni sottoposti a tassazione o monopolio. Peserebbe, infine, la scelta di abolire le detrazioni Irpef a favore dell’assegno unico. Così al Fisco arrivano sei miliardi in più.
Se sono tartassate le famiglie, figuriamoci le imprese. Le aziende italiane possono vantare il poco invidiabile primato di essere le più “vessate” d’Europa. La percentuale del rapporto tra gettito fiscale riconducibile alle imprese sul totale nazionale è molto più alto in Italia, dove si è attestato nel 2020 al 13,5%, che altrove. In Germania, infatti, si attesta al 10,7% mentre in Francia scende al 10,3% e in Spagna cala ancora stabilizzandosi al 10,1%. Pesano, inoltre, le aliquote sul reddito imponibile delle società. Qui l’Italia (27,9%) è seconda soltanto alla Germania (29,8). La Francia non va oltre il 25,8% e la Spagna l’ha fissata al 25%. Passando all’analisi della media europea, l’Italia la sfora per ben 6,7 punti percentuali.


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