Nell’ex Ilva lo slopping: veleni senza controllo nell’aria
Mentre il futuro dell'ex Ilva continua ad essere rimandato, un nuovo episodio di inquinamento a Taranto
Una nube arancione incontrollata ed è tornato lo sloppping nell’ex Ilva di Taranto. “Mentre si discute su Taranto e sulla nostra pelle in tutti i livelli istituzionali sulla nostra pelle cade ancora veleno, con lo slopping alle ore 8,51, nell’acciaieria numero 2 della fabbrica ex Ilva Acciaierie d’Italia di Taranto”, denuncia l’attivista ambientalista Luciano Manna.
Cosa è lo slopping
Lo slopping è un fenomeno che avviene negli altiforni durante la produzione dell’acciaio e si presenta come una nube rossa o arancione visibile all’esterno dello stabilimento. Si genera quando, nella fase di affinazione nel convertitore, si forma una schiuma eccessiva di scorie che, se non viene aspirata correttamente dagli impianti, fuoriesce provocando emissioni di polveri nell’atmosfera. Questo fenomeno è spesso indice di malfunzionamenti o gestione non ottimale del processo, ed è stato più volte segnalato come una delle principali fonti di inquinamento dell’area di Taranto.
Il ricordo delle parole di Pastorino
Lanna, a proposito dell’ennesimo episodio, ricorda quanto disse il fiduciario della famiglia Riva, Agostino Pastorino, che nel 2013 veniva interrogato dal Gip del Tribunale di Taranto: “Io ho vissuto a Genova dove non potevamo assolutamente fare nessun, nessunissimo slopping perché ci avrebbero chiuso”. Invece, anche oggi, a Taranto un nuovo slopping.
Chi è Agostino Pastorino
Pastorino è stato uno dei fiduciari della famiglia Riva, storici proprietari dell’Ilva di Taranto, e figura centrale nel cosiddetto “governo-ombra” che gestì lo stabilimento siderurgico tra gli anni ’90 e il 2010. Originario di Masone, lavorò come responsabile dell’area ghisa e degli investimenti dell’Ilva di Taranto, pur senza ricoprire formalmente la carica di dirigente, ma esercitando un’influenza diretta sulle decisioni operative e strategiche dell’azienda.
Fu tra i “fiduciari apicali”, persone molto vicine ai Riva con cui intratteneva rapporti quotidiani, e insieme ad altri fiduciari (come Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani e Giovanni Rebaioli) fu poi accusato di aver gestito l’Ilva “in stretta collaborazione con la proprietà, dando piena attuazione alla logica aziendalistica anche in modo criminoso sotto il profilo ambientale, senza tenere in alcuna considerazione la salute umana”.
La magistratura riconobbe che questa struttura di potere parallela aveva permesso ai Riva di continuare a operare secondo una logica di massimizzazione del profitto a scapito dell’ambiente e della salute pubblica, anche dopo che erano emerse gravi violazioni ambientali e sanitarie.
L’arresto, la condanna
Nel 2013, Pastorino venne arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto” con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata a reati ambientali, insieme ad altri dirigenti e tecnici vicini ai Riva. Successivamente, fu condannato a 18 anni e 6 mesi di reclusione per il suo ruolo nella gestione inquinante dell’impianto.
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