Esteri

Neonazista condannato per incitamento all’odio vuole scontare la sua pena nel carcere femminile

Il caso sta sollevando dubbi e polemiche

di Ernesto Ferrante -


Marla-Svenja Liebich è stata parte integrante della scena estremista di destra in Germania per decenni. Nel 2023, il tribunale distrettuale di Halle ha condannato l’ormai 57enne a 18 mesi senza condizionale per incitamento all’odio, diffamazione e insulti. Dopo i ricorsi falliti, il verdetto è diventato definitivo dalla fine del 2023. Poco prima di entrare in prigione, Liebich ha usufruito della nuova legge sull’autodeterminazione, che dal novembre 2024 consente di cambiare facilmente il sesso e il nome di battesimo presso l’ufficio anagrafe. Il “vecchio” Sven è diventato ufficialmente Marla-Svenja, con una pena da scontare presso il carcere femminile di Chemnitz.

L’amministrazione penitenziaria decide dopo un colloquio di ammissione, in cui vengono prese in considerazione le questioni di sicurezza e la situazione degli altri detenuti. Liebich, che ha attirato l’attenzione in passato con dichiarazioni transfobiche, ora beneficia di una normativa che garantisce i diritti delle persone trans con un iter veloce.

Sui social media, la donna condannata si esibisce in modo provocatorio, con tanto di baffi, abito leopardato e la richiesta di cibo kosher in carcere. Un aspetto, quest’ultimo, che rivela un’altra peculiarità del temibile neonazista di un tempo: sarebbe anche un’ebrea osservante.

In corso il dibattito su sicurezza e diritti

Il caso è oggetto di dibattito in Germania. Al centro della discussione c’è principalmente la sicurezza dei futuri compagni di prigionia di Liebich. “Molte detenute hanno subito violenze per mano degli uomini. Anche la presenza di una persona come Liebich è ritraumatizzante”. Questo è ciò che sostiene Ina Wagner dell’iniziativa “Let women speak!” sulla NZZ. Ricorda casi precedenti in cui prigionieri fingendosi donne hanno molestato i compagni di prigionia. Anche a Chemnitz c’è stato uno scandalo due anni fa con un presunto prigioniero trans.

La vicenda del neonazista stride con le storie del passato

Dalla ricerca dell’attivista trans Jako Wende: “Una donna trans, che presumibilmente si faceva chiamare Anni, è fuggita dalla casa dei suoi genitori dopo essere stata picchiata più volte dal padre per motivi transfobici. Ad Amburgo fu mandata in un campo di concentramento per tre mesi perché si muoveva in ‘abiti femminili’. A causa dell’accattonaggio e dei furti, fu spesso mandata in prigione e fu sterilizzata con la forza nel 1935 presso l’ospedale universitario di Eppendorf. In seguito è stata condannata a più di tre anni di carcere per presunta violazione della Sezione 175. L’autorità sanitaria di Amburgo ha spiegato la sua necessità di indossare abiti in cui si senta a suo agio come ‘espressione della personalità psicopatica debilitata’. Anni sopravvisse all’era nazista e morì nel 1984. Volevo visitare la tua tomba, ma purtroppo non esiste più”.

“Un’altra persona, di cui sto ricostruendo la biografia, si legge ancora nel suo report, ha trascorso almeno cinque anni in prigione, in vari campi di concentramento e campi di prigionia, tra il 1934 e il 1943, cioè nell’arco di nove anni. Alla fine, fu infine uccisa nel 1942 nel campo di concentramento di Groß-Rosen”.


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