Editoriale

Netanyahu mai così solo

di Adolfo Spezzaferro -


Un passo importante verso la pace in Medio Oriente che però coincide con il momento di massima crisi per il premier israeliano Bibi Netanyahu. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la prima risoluzione che chiede il cessate il fuoco immediato a Gaza durante il mese del Ramadan (iniziato il 10 marzo e che terminerà il 10 aprile). E chiede il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi. Oltre a chiedere l’impegno “a garantire l’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e di altro tipo”. L’approvazione della risoluzione è stata possibile grazie all’astensione degli Stati Uniti. L’accordo arriva dopo cinque mesi di stallo durante i quali gli Usa, alleati di Israele, hanno bloccato tre risoluzioni mentre la quarta, proposta venerdì scorso proprio da Washington, era stata bocciata dal veto di Cina e Russia. La risoluzione di ieri è stata approvata con 14 voti favorevoli e l’unica astensione degli Stati Uniti. Decisione che ha scatenato l’ira di Netanyahu. La sala è scoppiata in un applauso dopo il voto, ma il governo israeliano ha fatto sapere di voler annullare il viaggio negli Usa di una delegazione di Tel Aviv. La risoluzione, legalmente vincolante, presentata dai dieci membri non permanenti del Consiglio, è stata negoziata fino all’ultimo minuto. Il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby ha spiegato che gli Usa non hanno votato a favore perché la risoluzione non condanna esplicitamente Hamas, a differenza di quella da loro sponsorizzata venerdì scorso. Ma hanno deciso di non mettere il veto poiché questa risoluzione include il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi – due principi sostenuti dagli Usa da mesi. Ora i rapporti tra Washington e Tel Aviv – peggiorati per l’opposizione Usa (in linea con l’intera comunità internazionale) all’offensiva a Rafah considerata la presenza di un milione e mezzo di civili che si sono rifugiati là “per sfuggire alle operazioni israeliane altrove”, come ha sottolineato Kirby – sono tesissimi. Netanyahu dal canto suo fa sapere che “la decisione degli Stati Uniti di non porre il veto danneggia lo sforzo bellico e contraddice la posizione degli Usa in tutto il mondo”. Secondo il premier israeliano, l’approvazione di questa risoluzione “dà ad Hamas la speranza che la pressione internazionale permetterà loro di accettare un cessate il fuoco senza il rilascio dei nostri rapiti”. Invece Hamas ribadisce la “disponibilità ad impegnarci in un immediato processo di scambio di prigionieri che porti al rilascio dei prigionieri di entrambe le parti”.
Al di là delle condizioni poste dalla risoluzione, la notizia eclatante è la decisione Usa di non prendere le parti di Israele. Decisione che risente del crescente consenso internazionale sulla necessità di una tregua a Gaza e quindi del crescente isolamento di Israele su scala globale a causa dell’enorme numero di vittime civili causate dalla rappresaglia a seguito dell’attacco di Hamas su territorio israeliano dello scorso 7 ottobre. La risoluzione, come dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani, “rappresenta un primo, positivo passo in avanti e fa ben sperare”. Obiettivo finale: la pace nella regione e “la nascita di un secondo stato, lo stato palestinese, che – conclude Tajani – conviva con Israele in base alla teoria dei ‘due popoli, due stati’ con reciproco riconoscimento”. Sono ore molto difficili per il governo presieduto da Netanyahu – il più a destra della storia dello stato ebraico – e cresce sempre di più la consapevolezza, anche a Tel Aviv, che serve un cambio di passo (e di governo). Ciò spiega il pressing crescente degli Usa sul premier israeliano.


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