“La decisione è presa, occuperemo totalmente Gaza”. Fonti dell’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu citate dal sito Ynet, hanno confermato le notizie che circolavano nelle ultime ore. “Vi saranno attività anche in aree in cui sono detenuti gli ostaggi. E se questo non sta bene al capo di stato maggiore delle Idf, può anche dimettersi”, hanno concluso.
Netanyahu non arretra, sapendo di rischiare poco o nulla. Le pressioni della comunità internazionale non si sono tradotte in ostacoli seri alla sua azione e la tenuta del suo governo è ancora abbastanza salda da non indurlo a fermarsi. A questo si aggiunge la “carta bianca” avuta dagli Stati Uniti, che avrebbero “approvato” l’operazione.
L’appello al premier israeliano
Oltre 600 funzionari della sicurezza israeliani in pensione, tra cui ex capi del Mossad e dello Shin Bet, hanno scritto al presidente degli Usa Donald Trump per chiedergli di fare pressione su Netanyahu affinché ponga fine alle ostilità nell’enclave palestinese. “Secondo il nostro giudizio professionale, Hamas non rappresenta più una minaccia strategica per Israele e la nostra esperienza ci dice che Israele ha tutto ciò che serve per gestire le sue residue capacità terroristiche, a distanza o in altro modo”, hanno argomentato gli ex funzionari in una lettera condivisa con i media.
“Questa guerra non è più una guerra giusta e sta portando lo Stato di Israele a perdere la sua identità”, ha avvertito Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet, in un video diffuso dal movimento Csi, Comandanti per la sicurezza di Israele, in occasione della pubblicazione della missiva. Tra i firmatari ci sono tre ex capi del Mossad (Tamir Pardo, Efraim Halevy, Danny Yatom), cinque ex dirigenti dello Shin Bet (Nadav Argaman, Yoram Cohen, Ami Ayalon, Yaakov Peri, Carmi Gilon) e tre ex capi di stato maggiore (Ehud Barak, Moshe Bogie Ya’alon, Dan Halutz).
“A nome del Csi, il più grande gruppo israeliano di ex generali dell’esercito, del Mossad, dello Shin Bet, della polizia e di corpi diplomatici equivalenti, vi esortiamo a porre fine alla guerra a Gaza. L’avete fatto in Libano. È ora di farlo anche a Gaza”, è l’appello rivolto al tycoon. “L’Idf ha da tempo raggiunto i due obiettivi che potevano essere raggiunti con la forza: smantellare l’esercito e il governo di Hamas. Il terzo, e il più importante, può essere raggiunto solo attraverso un accordo: riportare a casa tutti gli ostaggi. Rintracciare i restanti alti funzionari di Hamas può essere fatto più tardi”, ma “gli ostaggi non possono aspettare”, hanno rimarcato i componenti del movimento.
Le condizioni di Hamas per il cessate il fuoco a Gaza
Hamas è aperto a negoziare un accordo sulla fine del conflitto nella Striscia di Gaza e sul rilascio di tutti gli ostaggi israeliani. A darne notizia è stato il quotidiano emiratino The National, citando sue fonti. “Hamas è aperto a negoziare un accordo globale per Gaza che porrebbe fine alla guerra nell’enclave palestinese e libererebbe tutti gli ostaggi detenuti”, ha riferito l’articolo secondo cui gli Stati Uniti stanno discutendo la bozza del documento con Israele e con mediatori del Qatar e dell’Egitto.
Il movimento di resistenza palestinese, stando al Jerusalem Post, avrebbe chiesto almeno 250 camion di aiuti umanitari al giorno come precondizione per tornare al tavolo delle trattative.
“Attivisti” israeliani, tra cui gli amici dell’ostaggio Rom Braslavski, hanno bloccato l’ingresso dei viveri a Gaza e tagliato i pneumatici dei camion provenienti dalla Giordania. “Rom avrebbe dovuto essere di nuovo con me in macchina dopo la festa; sta morendo di fame in cattività mentre gli aiuti alimentari vengono trasferiti. Viene fornita piena assistenza a chi ne ha bisogno. Non permetteremo che ciò accada, stiamo lottando contro questo”, ha detto uno dei membri del “commando”.
L’azione appare ancor più grave alla luce della morte di altre cinque persone per fame. Il ministero della Salute di Gaza ha fatto sapere che il numero dei decessi per malnutrizione ammonta a 180, inclusi 93 bambini.
I coloni israeliani hanno dato fuoco a un edificio durante la notte nel villaggio di Turmus Ayya, vicino a Ramallah, in Cisgiordania.