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Niente studio né lavoro, ma il 15% prende il reddito di cittadinanza

di Maurizio Zoppi -


Oltre il 15% dei Neet in Italia riceve il reddito di cittadinanza. Per l’esattezza il 15,5% dei giovani “nulla facenti” dello Stivale, sono i percettori della misura politica fortemente voluta dal Movimento 5stelle. Numeri e dati messi in evidenza dal report “Il reddito di cittadinanza in relazione agli occupati a basso reddito (working poor) e ai giovani inattivi (Neet)”, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 4, frutto della collaborazione tra AreaStudi Legacoop e Prometeia. Una platea di 395mila e 600 ragazzi di età dai 18 ai 29 anni. Per chi non lo ricordasse: i Neet sono definiti quei giovani non impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione. Proprio per queste ragioni non hanno risorse ma possono richiedere il reddito di cittadinanza in quanto rientrano nella categoria degli “occupabili”, almeno per la parte di coloro che hanno concluso il ciclo di studi obbligatorio, tenendo comunque conto che questi Neet non sono necessariamente quelli che richiedono la misura, ma anche componenti di nuclei beneficiari. E subito il pensiero va al termine “bamboccione”. La famiglia, oltre che il reddito di cittadinanza, diventa il proprio datore di lavoro, nel senso che provvede al mantenimento in caso di disoccupazione o di retribuzione a “nero” insoddisfacente. Al di là della misura di sostentamento creata dai grillini, quello che i genitori si concedono è un lusso rischioso in quanto il ragazzo che si trova in questa condizione di limbo potrebbe adagiarsi. E non darsi più da fare, creando col passare del tempo una spirale negativa. “Il legame con l’inserimento lavorativo è reso fragile non solo dalla mancanza di lavoro, non solo da alcune furbizie individuali, ma soprattutto dalla fragilità di quel fondamentale settore che nelle economie avanzate sono le politiche attive del lavoro, specialmente per i giovani”, osserva Mauro Lusetti, presidente di Legacoop. Nel frattempo come è ben noto, la maggior parte dei giovani “nulla facenti”, si trovano al Sud. In Campania, in Sicilia, in Puglia. Al Nord la situazione è più confortante. Soltanto il Piemonte sembrerebbe avere numeri rilevanti. Per essere precisi, il 65% dei percettori del reddito di cittadinanza si trova al Sud, dove si registrano il più alto tasso di disoccupazione (e quindi redditi familiari più bassi) e un più basso livello generale delle retribuzioni per chi è occupato, oltre ad un minor numero di servizi di welfare che consentono una piena conciliazione vita lavoro. E proprio al Sud che il Movimento 5stelle ha uno zoccolo duro dell’elettorato. Fatalità? Caso? Nel frattempo la stima dei voti è solo potenziale. Perché non si può avere nessuna certezza sulle intenzioni di voto di chi percepisce il reddito di cittadinanza. Ma i numeri dicono che sono più di tre milioni i voti espressi dalle persone che lo percepiscono. Tempo fa il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ha parlato apertamente di voto di scambio. “L’operazione sul reddito al Sud è il più grande scandalo per la politica, perché è esattamente un voto clientelare…”. Non sarà che la politica dei bonus e dei sussidi va a deprimere una economia già ferma e dove non c’è voglia di lavorare e di impegnarsi? E allora, oltre al Rdc, qual è la strategia delle forze politiche a livello locale e nazionale per risvegliare i Neet dalla apatia e ridare energia al Mezzogiorno addormentato? Una risposta che dovrebbe arrivare innanzitutto dal Movimento 5 Stelle, che a Palermo, in Campania in Sicilia e in generale nel Sud, ha conservato larga parte del suo consenso alle ultime elezioni politiche.

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