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Addio a Nino Benvenuti, l’esule che unì il Paese non solo nello sport

di Giovanni Vasso -


Nino Benvenuti non è morto. Certo, a 87 anni, il suo cuore, grande e immenso, ha deciso di smetterla di continuare a battere. Nino Benvenuti non è morto perché il suo nome rimarrà, per sempre, inciso in alcune delle pagine più belle dello sport e della vita civile italiana. E non è la (solita) retorica.

L’annuncio è arrivato nelle scorse ore. Il pugile, già medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 1960, già campione del mondo dei medi e dei pesi superwelter, era malato da tempo. Così come ha vissuto, ha incrociato generosamente e coraggiosamente i guantoni contro il male che lo aveva afflitto. Così come, da ragazzo, lo aveva fatto con alcuni degli atleti più potenti, forti, carismatici del pugilato che fu. Emile Griffiths, statunitense a cui Benvenuti, il 17 aprile del 1967, al Madison Square Garden e davanti agli occhi di leggende inossidabili, vive ancora prima che diventassero film di culto o saghe cinematografiche, come Rocky Marciano, Rocky Graziano, Jake LaMotta, Sugar Ray Robinson, prese la cintura mondiale dei pesi medi. Ai punti, al termine di un match tesissimo che inaugurò una “trilogia” della boxe (due vittorie per l’italiano, una sola per l’americano) e dimostrò agli americani che l’Europa, quando c’era da tirar pugni, non era seconda a nessuna. E che dopo Marcel Cerdan, lo sfortunato pugile franco-algerino precipitato al largo delle Azzorre e reso eterno dalla struggente Hymne à l’Amour della sua Edith Piaf, il Vecchio Continente aveva trovato chi ne potesse, dignitosamente, difendere prestigio, colori e sogni di gloria. Anche in America, anche sul ring. Dove, Nino Benvenuti, trovò la nemesi in Carlos Monzon, un uomo che era leggenda già in vita. E non solo della boxe. Ma Nino Benvenuti ha rappresentato, tanto, per un Paese intero. Intero, già. Era nato a Isola, oggi in Slovenia. In Istria. Proprio all’epoca della guerra. Anzi, della fine della seconda guerra mondiale. In quegli anni tempestosi, bui e pericolosi in cui pietà l’era morta. È tra gli esuli del confine orientale, Benvenuti. Una terra che non dimenticò mai. Le sue vittorie sul ring unirono un Paese che stava scrollandosi di dosso la polvere del Dopoguerra, il suo impegno civile contribuì a unire, nella memoria, un Paese che per troppo tempo aveva finto di non vedere cosa fosse accaduto al di là del filo spinato, oltre Trieste. Un impegno, anche questo, che Benvenuti ha affrontato senza risparmiarsi mai, trasformando la sua testimonianza persino in un cartone animato. Con coraggio e dignità, così come ha vissuto. Così come continua a vivere nel cuore di un Paese che non lo dimentica.


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