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“No al processo mediatico ma con decreto c’è rischio censura”

di Giovanni Vasso -


Il nuovo decreto sulla presunzione d’innocenza scatena il dibattito (anche) all’interno dei giornalisti. Finisce sul tavolo il cosiddetto processo mediatico, il vero obiettivo della nuova legge. Ma le normative previste dal decreto, secondo i giornalisti, rischiano di trasformarsi in un boomerang. Che potrebbe portare al rischio della censura in Italia.
Secondo le analisi dell’Ordine regionale delle Marche, rischia di diventare ancora più “appetibile”. Ma, oltre a ciò, il rischio delle nuove norme sembra (ancora) un altro, quello cioé di complicare i rapporti tra i cronisti e le fonti. Si sarebbero apposti inutili e pericolosi limiti che potrebbero rendere ancora più complesso il rapporto tra i giornalisti, magistratura e forze dell’ordine.
Il decreto in questione non si riferisce ai giornalisti ma va a interessare le autorità pubbliche. L’allarme lanciato dall’Ordine dei giornalisti marchigiano è quello di un rischio censura. Il contenuto della legge impone comunicati ufficiali e conferenze stampa, queste ultime solo quando i fatti siano di “particolare rilevanza pubblica”. Inoltre secondo quanto riportato in un lungo e dettagliato post pubblicato dal sito istituzionale dell’ordine ed estrapolato dal decreto. “La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico”.
Secondo i giornalisti delle Marche. “E’ evidente, con tale articolato, che la valutazione dell’interesse pubblico dei fatti passa dai media nelle mani della magistratura. Gli stessi nomi degli arrestati potrebbero venir meno se l’autorità giudiziaria in virtù della presunzione di innocenza e della presunta non rilevanza, decida di non svelarli, cancellando d’un colpo la funzione di controllo della stampa sull’attività delle pubbliche autorità. E quali sono i confini dell’interesse pubblico che verranno adottati? L’interesse – ha chiarito a suo tempo anche l’Autorità Garante per la privacy – va valutato anche rispetto all’ambito locale di diffusione dei media”.
E ancora. “In pratica si verifica una selezione delle notizie a monte che rischia di non rispondere ai criteri di “trasparenza e comprensibilità dell’azione giudiziaria ritenuti nel 2017 dallo stesso Consiglio superiore della magistratura come valori che discendono dal carattere democratico dell’ordinamento e che non confliggono con il carattere riservato, talora segreto, della funzione”. “Il Csm auspica sì un intervento in materia di rapporti tra magistrati e mass media, ma finalizzato “a garantire che i media abbiano un corretto accesso alle notizie sull’azione del pubblico ministero e sull’esercizio della giurisdizione”.

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