Economia

No profit, fra caos e ritardi vanno in fumo 37 miliardi

di Angelo Vitale -


Un osservatorio su Pnrr e Terzo settore, realizzato con Openpolis. Il Forum nazionale lancia una piattaforma per monitorare l’attuazione del Piano di Ripresa in relazione al no profit. Un’iniziativa per aiutare gli enti a orientarsi tra i vari provvedimenti e a seguirne lo sviluppo. E a informare i cittadini. Ciò che emerge, e che il Forum sottolinea, è l’assenza di trasparenza. Si leggono cifre e dati, si identificano i destinatari delle risorse, a partire dalle Città metropolitane, ma non c’è sicurezza sulla loro erogazione reale. Il Pnrr comprende oltre 300 misure e oltre mille scadenze per la realizzazione. Con il 2026 come soglia limite. Focus su 59 misure, di cui 7 sono considerate misure “cappello” per 270 provvedimenti attuativi che toccano temi di particolare rilevanza per la vita dei cittadini ma anche quelli che possono vedere coinvolti gli enti stessi nella loro realizzazione. Le 59 misure sono finanziate con 37 miliardi e 610 milioni, per 270 provvedimenti attuativi. Quindici gli ambiti tematici sotto la lente: Ambiente e transizione energetica, Aree interne, Beni confiscati, Cultura e turismo, Digitalizzazione, Istruzione e povertà educativa, Parità di genere, Persone vulnerabili, Politiche del lavoro, Riforma appalti e spesa pubblica, Rigenerazione urbana, Salute, Servizio civile, Social housing, Sport. il tutto, per 37 miliardi e 610 milioni.
Il buio comincia subito dopo. Non è possibile sapere quante risorse siano state effettivamente erogate. Gli ambiti tematici e le misure sono finanziate. Ma ci fermiamo qui. Facendo un passo avanti solo sulla conoscenza dei tempi delle misure, cominciano le preoccupazioni. Una è completata, 4 sono in ritardo nella realizzazione, 45 sono in corso e 9 devono essere avviate. Certo, conforta apprendere che nessuna dovesse essere completata nel 2021, solo una nel 2022, 3 entro il 2024, 8 entro il 2025, 39 entro il 2026. La domanda che emerge da tutto questo è: il no profit viene coinvolto nella progettazione delle iniziative? Come stiamo messi davvero? “Il coinvolgimento delle organizzazioni di Terzo settore è ridotto e discontinuo. Un punto debole, Si rischia di produrre risultati disomogenei sui territori e viene a mancare, al di là della distribuzione delle risorse, la garanzia dell’efficacia delle misure, frutto di una collaborazione di più attori”, denuncia Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum.
Ma qual è la situazione reale? Telefonare agli uffici di Roma Capitale produce il gioco a rimpiattino tra le competenze: l’assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute di Barbara Funari lavora con il no profit, ma non per i Piano Urbano Integrato. Quello ai Lavori pubblici dell’assessora Ornella Segnalini non si occupa dei rapporti con il no profit. Eppure il sito web di Roma Capitale elenca le competenze e gli obiettivi di questi Piani: “Favorire una migliore inclusione sociale, ridurre l’emarginazione e le situazioni di degrado sociale”, al Corviale piuttosto che a Tor Bella Monaca o in altre periferie. Davvero Roma Capitale coinvolgerà il no profit solo dopo aver speso l’ultimo euro di questi 330 milioni per intonacare i locali?
Cambiano i governi, ma il Paese rimane lo stesso, con tutti i suoi bisogni. Disse più o meno questo, il 25 ottobre alla Camera, Maria Chiara Gadda di Azione – Italia Viva durante l seduta di insediamento di Giorgia Meloni. La Gadda segue i temi del no profit da almeno un decennio. “La richiesta di trasparenza – dice – è fondamentale, un passaggio importante per monitorare lo stato di attuazione del Pnrr. Ma il vulnus principale è quello che segnala l’assenza del pieno coinvolgimento del terzo settore nella costruzione dei progetti. Serve un cambio di passo, che finora non c’è stato. Penso all’assenza nel piano circa l’innovazione e la digitalizazione per la questione delle eccedenze alimentari che attraversa tutti i territori. Un tema che andrebbe trattato nel suo complesso e nei suoi riflessi, per rendere efficace le misure adottate”. “In generale – aggiunge – va cambiata l’impostazione culturale. Il Terzo settore non è solo 5 milioni di volontari, 360 mila enti, 1 milione di lavoratori. Rappresenta il 5% del Pil nazionale, mentre continua ed essere considerato solo come un erogatore di beni e servizi. E allora, se il Pnrr nasceva per eliminare i divari sociali, perché ciò accade? L’impostazione del Piano rimane quella rigida data dal governo Conte, che quello Draghi aveva provato a modificare”.
Il risultato quale è? “Tanti enti non hanno partecipato. Un’opportunità persa, Invero, c’è da dire che ciò è successo anche per i ritardi degli enti locali, spesso privi delle necessarie figure interne per la progettazione. Un collo di bottiglia da superare. Ma ciò che appare con grande evidenza è la mancata risposta a quanto definiva l’articolo 55 del Codice del Terzo settore: la coprogrammazione, l’intesa tra pubblico e privato sociale, rispondere ai bisogni, insieme. Perciò dico che la cultura della condivisione è ancora lontana”.

Torna alle notizie in home