No Tav, No Vax, Pro Pal. L’involuzione della specie
Quando il bisogno di sentirsi parte di qualcosa e la diffidenza verso tutto uccidono il pensiero critico.
C’è un filo rosso che unisce battaglie molto diverse: dalle valli piemontesi contro il treno, alle piazze contro i vaccini, fino agli slogan per la Palestina. Spesso a guidarle sono le stesse persone, o comunque persone simili. Non è un’accusa, è una constatazione: certe idee sembrano viaggiare insieme, come se fossero un pacchetto unico.
Cosa li lega? Prima di tutto il senso di appartenenza. Stare “contro” crea gruppo, ti fa sentire parte di una minoranza illuminata, di chi non si lascia ingannare dalla propaganda. È il gusto di andare controcorrente, di sentirsi più svegli degli altri.
Poi c’è la sfiducia: verso lo Stato, i media, la scienza ufficiale, chiunque abbia potere. Una sfiducia che diventa quasi un marchio di purezza: se lo dice il governo, dev’essere falso; se lo scrivono i giornali, dev’essere sospetto.
C’è anche l’attrazione per le cause “grandi”. Difendere la natura, il corpo, un popolo: sono battaglie che danno dignità, anche se i contesti sono diversi.
Il paradosso? Il contenuto delle lotte cambia, lo spirito no: diffidenza, appartenenza, ribellione. Non importa se il tema è un tunnel, un vaccino o un conflitto: conta l’identità. Il “No” diventa la cifra dell’identità. Non sempre coerente, ma rassicurante. Essere “No Tav, No Vax, Pro Pal” significa soprattutto sapere da che parte stare, senza sentirsi soli.
Dietro tutto questo c’è un aspetto più intimo: l’insicurezza. La paura di essere esclusi, di non contare, di non avere voce. È terreno fertile per chi sa manipolare: la politica, di destra o di sinistra, non è mai neutrale. Slogan semplici e nemici da indicare prendono il posto di risposte complesse. Il disagio personale diventa identità collettiva, e il “noi contro loro” sostituisce il pensiero critico.
Alla fine, il percorso di “No Tav, No Vax, Pro Pal” racconta più fragilità che battaglie. Il pensiero rischia di diventare copia carbone, la ribellione uno schema prevedibile. E resta una domanda per ciascuno: come possiamo davvero pensare con la nostra testa senza cadere nella trappola della paura e dell’appartenenza?
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