Dall’aloe ai soldi per il capo dei capi. È questo il filo rosso che stinge il cerchio attorno al “Parmigiano”, l’imprenditore al quale Matteo Messina Denaro aveva ordinato di rivolgersi per chiedere un prestito di 40mila euro, al fine di rimpinguare la cassa dopo una spesa imprevista per l’acquisto di un nuovo covo.
IL PIZZINO
Il padrino lo aveva fatto con un lungo pizzino, inviato a sua sorella Rosalia, alias Fragolone, arrestata venerdì scorso e ritenuta dagli inquirenti non solo la cassiera della mafia, ma addirittura la donna pronta a essere incoronata al vertice di Cosa nostra, raccogliendo così l’eredità del fratello a seguito della cattura del latitante, messa a segno dai carabinieri del Ros lo scorso 16 gennaio. È grazie alla fortuita scoperta di un pizzino sulla malattia del boss, trovato nella casa di Rosalia a Castelvetrano mentre gli inquirenti piazzavano microspie, che l’ultimo degli stragisti è stato preso alla clinica dove si era recato per la chemioterapia. È sempre in quella casa, come pure nel covo del boss a vicolo San Vito, sono stati sequestrati decine di messaggi scritti da Matteo Messina Denaro e inviati a Fragolone, che gestiva e smistava il flusso delle comunicazioni del fratello, il quale, fin dal principio della sua latitanza, aveva ideato lo stratagemma dei soprannomi per i suoi fiancheggiatori. Tra questi è in fase di identificazione proprio “Parmigiano”, che secondo gli investigatori è un grosso imprenditore implicato in affari con Cosa nostra al punto da non potersi sottrarre alla richiesta di un “finanziamento” al boss di ben 40mila euro. In un pizzino del 14 maggio scorso, il padrino scrive a Rosalia: “Le cose si sono talmente ingarbugliate che non ho avuto scelta. I soldi che avevo non mi bastavano… Ne sono rimasti 85mila, e questo è un problema, sono pochi, devo avere un deposito W più grosso se no vado a sbattere, cioè non sono coperto per come voglio io… Ti spiego cosa devi fare, segui alla lettera ciò che ti dico: ti devi incontrare col parmigiano, solo una volta però e gli chiedi il prestito a lui, digli che stia tranquillo che nessuno lo vuole impaccare e che avrà restituito il tutto o appena torna il.complicato oppure appena il grezzo vende un suo bene che è già messo in vendita”. E conclude: “Digli che 40.000 non cambiano la vita delle persone… digli che non può dire di no”. L’identità del finanziatore e le motivazioni per cui non poteva rifiutarsi sono nascoste in un’intercettazione tra due sodali riportata nell’ordinanza di custodia cautelare di Hesperia, l’operazione del Ros che il 6 settembre scorso ha decapitato la rete dei fedelissimi del boss e che dimostra come Messina Denaro avesse messo le mani anche su una grande azienda di produzione di aloe.
L’INTERCETTAZIONE
Il 26 novembre 2019 Vincenzo Spezia, legato alla famiglia del capo dei capi attraverso il fratello Salvatore Messina Denaro, veniva informato dal castelvetranese Vincenzo Nuccio che una donna del posto aveva avviato, con un industriale di Parma, un’attività di produzione di aloe. Informazione che ha lo scopo di infiltrarsi nell’impresa. “Sta facendo l’azienda qua a Campobello, ha cose grosse nel mezzo!”, dice Nuccio. “E ci informiamo subito… in tre giorni abbiamo tutte cose… in tre giorni ti saprò dire com’è combinata, di chi sono i soldi e di chi non sono i soldi, perché non sono soldi di lei”, assicura Spezia. “C’è un’azienda di Parma, è un’azienda grossa… si mettono a fare piantagione di aloe”, risponde l’altro. Spezia individuava il canale informativo da attivare dopo avere appreso da Nuccio che la donna era “socia con uno di Castelvetrano” e che “l’altra volta cercava un amico di Castelvetrano”, che lo stesso Nuccio indicava come “l’amico del fratello”. Spezia rispondeva: “E allora da qua viene… da qua viene la cosa… ma questo pure lo chiamo… questo lo mando a dire… domani glielo mando a dire io… interessa a te questa signora? Vediamo cosa mi manda a dire… se mi dice sì a posto. Ma dimmi una cosa: tu con questo amico ci sei? Salvatore”. Quando i due fanno quel nome, i carabinieri non hanno più dubbi: il fedelissimo avrebbe portato il messaggio al fratello del boss, per avere l’autorizzazione dal padrino a intervenire sull’azienda, perché “c’è da fregargli i soldi a questo di Parma”, precisa. Spezia si rivelava buon profeta e il 2 dicembre 2019 tornava con la risposta da Nuccio, riferendo di aver inoltrato un “pizzino” e che gli era stata confermata la riconducibilità di quell’attività d’impresa alla famiglia del capo dei capi Matteo Messina Denaro. “Quella cosa come ti ho detto io era, a lui appartiene. Dice di stare tranquillo, che i soldi sono di un industriale di Parma e lei ce l’ha in mano lui. Dice: lei ci ha garantito che i terreni lui glieli ha fatti prendere, che come finiscono di fare l’impianti… fanno quello che devono poi ci danno il lavoro a noi altri”. Insomma, era stata la mafia a “concedere” i terreni per l’aloe all’imprenditore parmigiano. Ed ecco spiegato il perché, alla richiesta del boss del prestito di 40mila euro, l’industriale non avrebbe potuto dire di no.