Attualità

Nomine, il caso Profumo blocca il valzer delle poltrone

di Cristiana Flaminio -

Alessandro Profumo


Da quando Ferdinando de’ Medici ne fece dono a Filippo II di Spagna, i governanti di ogni epoca si sono sempre dilettati al gioco dell’oca. Quel passatempo, nuovo e molto dilettevole, incantò ‘o rey papelero e forse fu l’unica cosa in grado di distrarlo dalla sua (altra) grande passione: l’istituzione di nuovi ministeri, dipartimenti, commissioni. La tradizione non mente: la politica e il gioco dell’oca, con tutti i suoi saliscendi, torna-e-vai, scale e caselle vuote, premi e “prigioni”, sono più connesse tra loro di quanto lo siano le major della Silicon Valley. A Roma, come nella Madrid del ‘600, il gioco dell’oca è gettonatissimo. Solo che la partita si gioca con le nomine.
Il problema, adesso, è che siamo in una fase di stallo. Ci sono da assegnare le presidenze delle commissioni bicamerali ma se non si sblocca, prima, l’impasse delle grandi partecipate di Stato, non si va né avanti né indietro. Si sta fermi un giro. Un altro. In attesa che qualcosa si muova. Per il momento, s’è mosso il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che ha chiesto ai gruppi parlamentari di darsi una svegliata e di indicare chi andrà a far parte delle commissioni di vigilanza Rai e dell’Antimafia. La presidenza, per entrambe, è già decisa. La prima, come da prassi, andrebbe all’opposizione, la seconda se la tiene stretta a sé Meloni. Che, secondo i rumors, avrebbe già rivendicato a Fdi anche quelle su Cassa depositi e prestiti, Schengen, Infanzia, Semplificazione, Femminicidio, Forteto, Insularità, oltre alla guida delle delegazioni parlamentari presso il Consiglio d’Europa, l’Ince, il Mediterraneo e la Nato. Su quest’ultima, però, hanno messo gli occhi i centristi, a cui in teoria ne toccherebbero due di presidenze ma che, in cambio di un ruolo così importante, potrebbero accontentarsi. Lega potrebbe ambire a Federalismo fiscale, quella sugli Enti gestori, il Ciclo rifiuti e l’Osce mentre Forza Italia punterebbe le commissioni Banche, Questioni regionali e Anagrafe tributaria. Le delegazioni lavorano, alacremente, per raggiungere un equilibrio. Lollobrigida e Fazzolari per Fdi, Gasparri e Tajani per Forza Italia, Salvini e Giorgetti per la Lega, ora dovranno tener conto anche del fatto che il Pd ha cambiato segretario. Ma non sarà Elly Schlein a costringerli a fermarsi un giro. Ma un’altra vecchia conoscenza della sinistra, Alessandro Profumo. Proprio Gasparri, in un velenoso e allusivo twit di qualche giorno fa, lo aveva avvisato. Sulle nomine, per le grandi aziende di Stato, occorre azzerare tutto. “Basta invadenza partiti, premiare competenza e professionalità, non l’ossequio al Pd. Deputati Pd e profumo di D’Alema anche basta”. Lui, però, non ci sta a cedere senza combattere. Ha incassato, Profumo, l’allusione al caso del Colombia-gate e delle armi dell’ex premier Ds che s’è trasformato in uno scandalo giusto un anno fa. Ma si è mosso sott’acqua, e ora prova a giocarsi ogni carta possibile per tentare di restare al timone di Leonardo. Che, nel frattempo, è diventata – se possibile – ancora più centrale nelle strategie di governo. Oggi a Dubai, Meloni archivierà una volta per tutte la stagione “pacifinta”, inaugurata da Conte e Di Maio che portò l’Italia a un punto di rottura, tra gli altri, proprio con gli Emirati. La questione non fu sanata nemmeno dal “migliore” Draghi, che non rinunciò a tenersi Giggino alla Farnesina. La “normalizzazione” dei rapporti e le strategie internazionali prevedono un ruolo sempre più decisivo per l’azienda di Stato. E Giorgia Meloni vuole uno dei suoi, un fidatissimo, a capo di Leonardo e non il “banchiere etico” che, secondo i maligni, avrebbe avuto, nell’ormai lontano 2017, l’incarico di spacchettare Finmeccanica per cederla a pezzi ai compratori stranieri. E che invece smentì tutto e tutti, maligni compresi, rimandò in cucina lo “spezzatino” e impostò la politica aziendale su una maggiore autonomia delle singole divisioni. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, un nome pronto per Leonardo già ce l’ha da tempo. È Lorenzo Mariani, ex ad Unicredit. Le quotazioni dell’ex ministro Roberto Cingolani, sono in ribasso anche se, dalla sua, resta il gradimento di Mario Draghi, con tutto ciò che ne conseguirebbe. Giorgia Meloni, come ha dimostrato la visita a Nuova Delhi, punta su Leonardo come un grimaldello per tessere rapporti con tutti quei Paesi in via di sviluppo, attualmente non allineati, e superare, così, la concorrenza (agguerritissima) del partner europei. Inoltre, poiché l’impegno in Ucraina richiede l’invio di armi, Meloni vorrebbe poter tenere ancora più vicino a sé l’ad della principale azienda specializzata che c’è in Italia. La wild card che utilizzano (quasi) tutti gli amministratori delegati uscenti non vale, evidentemente, per Leonardo. Anzi, proprio perché c’è la guerra, a Palazzo Chigi, pensano di sostituire i vertici dell’ex Finmeccanica, ritornata centralissima nelle strategie istituzionali e geopolitiche, con altri dirigenti, ritenuti evidentemente, più vicini ed affidabili. Lo spoil system, in fondo, serve proprio a questo. Ma, per ora, Profumo combatte la sua battaglia fino in fondo e non molla. La politica dovrà fare uno scatto. Il puzzle delle nomine, per adesso, è un complicatissimo gioco dell’oca. In cui, adesso, la maggioranza deve stare ferma un turno. Ma dovrà capire presto dove vuole arrivare e come farlo, altrimenti il rischio sarà quello di continuare a girare a vuoto per la scacchiera.

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