Economia

Anno nuovo, schema vecchio: riparte il ballo delle nomine

di Giovanni Vasso -

LUIGI FERRARIS TERNA DARIO SCANNAPIECO BEI


Nomine, si riparte. Con l’anno nuovo ricomincia il gran ballo delle partecipate. Quest’anno, il governo dovrà scegliere chi guiderà le danze in alcune delle più importanti società di Stato, aziende importanti già di loro ma che, in questo momento, assumono una valenza strategica, se possibile, ancora maggiore. Su tutte, ci sono Ferrovie dello Stato e Cassa Depositi e Prestiti. Che oggi sono al centro delle manovre e delle scelte economiche, e non solo, del governo. Già, perché Fs, da sola, movimenterà – come riferito dall’attuale amministratore delegato del gruppo, Luigi Ferraris – qualcosa come 14-15 miliardi di euro di fondi che arrivano dal Pnrr. Intanto Cdp, con il suo ruolo decisivo di finanziamento reso ancora più nevralgico dal varo, recentissimo, del fondo per il Made in Italy, si appresta a vivere una stagione di rinnovata centralità nei progetti dentro e soprattutto fuori i confini nazionali. Giorgia Meloni, infatti, ha ribadito di credere, fortemente, nel piano Mattei e di volerlo ampliare a progetti non esclusivamente legati alla politica energetica. Ma c’è anche un’altra partita in contemporanea a quella che si giocherà per il futuro di Ferrovie dello Stato e Cassa Depositi e Prestiti. Si tratta della governance della Rai. L’azienda di viale Mazzini vedrà la nomina dei nuovi vertici e tutto lascia credere che Giorgia Meloni non mollerà di un centimetro. Non ha dimenticato che, all’epoca del governo Draghi, Fratelli d’Italia, unico partito d’opposizione, fu lasciata fuori dal consiglio d’amministrazione. In maniera che definire, quantomeno, irrituale, è ancora poco. Meloni non ha digerito né l’affronto che, all’epoca, ritenne di aver subito da Pd e M5s e nemmeno l’indulgente “difesa” di Lega e Fi che misero a disposizione i loro delegati per presentare rilievi e iniziative dei (futuri) alleati di governo. A viale Mazzini, dunque, si può dire che i giochi sono fatti. E che Giampaolo Rossi, estromesso all’epoca dal Cda, ora è sempre più vicino a diventare ad Rai.

La vicenda nomine, dunque, ha un risvolto politico che è decisivo. E che potrebbe pesare, e non poco, sulla campagna elettorale delle Europee. Già, perché i consigli d’amministrazione scadono con l’approvazione del bilancio che, solitamente, vengono approvati in primavera. Non è da escludere, quindi, che il governo potrebbe posticipare di qualche settimana l’appuntamento con le nomine. Non sarebbe la prima volta. Solo nel 2018, infatti, le nomine slittarono di un mese. Si preferì prima celebrare l’appuntamento con le elezioni politiche da cui scaturì il primo governo guidato da Giuseppe Conte e imperniato sull’alleanza tra il M5s e la Lega. Adesso, che il governo c’è già da oltre un anno e che, a meno di scossoni, non subirà alcun rimpasto, un eventuale posticipo consentirebbe ai partiti di far pesare i nuovi equilibri di forze che, potenzialmente, potrebbero scaturire dalle urne delle Europee per cui si andrà a votare il 9 giugno prossimo.

Ma quello con Fs, Cdp e Rai non sarà l’unico appuntamento degno di nota per la governance dell’economia italiana. E non soltanto perché dalle nomine in Fs discenderanno quelle in Anas, Busitalia e Italferr mentre da quelle in Cdp deriveranno i nuovi incarichi in seno a Fintecna.

Difatti, in primavera, scadrà il mandato da presidente di Confindustria di Carlo Bonomi. Che lascerà viale dell’Astronomia: “Tornerò a fare l’imprenditore”, ha affermato pubblicamente l’ormai past president degli industriali. Parole che di sicuro non suonano banali a chi ricorda che, solo qualche mese fa, era insorta una feroce polemica sull’eventuale cooptazione dello stesso Bonomi alla guida dell’Università Luiss. Già si è scatenata la campagna “elettorale” per la poltrona più prestigiosa in Confindustria. Tra i candidati, sembra in pole il petroliere Edoardo Garrone, già presidente di Erg e del Sole 24 Ore, tallonato però da Enrico Carraro, forte del sostegno di Confindustria Veneto e di Antonio Gozzi, capo di Duferco. Ovviamente, c’è già chi studia da outsider e le quotazioni degli attuali vicepresidenti, da Giovanni Brugnoli a Maurizio Stirpe, passando per Alberto Marenghi ed Emanuele Orsini, restano alte. Tutto dipenderà dalle alleanze che saranno intessute e dal voto che verrà poi effettivamente espresso nell’urna. Sarà interessante, per il governo, comprendere quale sarà la “nuova” Confindustria.  


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