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Non c’è due senza tre cade pure First Republic. E ora l’America ha paura

di Redazione -


Viene giù tutto, in America. Dopo Signature e, soprattutto, dopo Silicon Valley Bank, adesso rischia grosso anche First Republic Bank. Il dipartimento Usa del Tesoro si prepara alla Grande Crisi e il segretario Janet Yellen annuncia che il governo è pronto a offrire nuove garanzie sui depositi bancari. Intanto, al di là della nuova cortina di ferro, Iran e Russia si preparano a lanciare l’attacco frontale e globale al sistema Swift, semplicemente bypassandolo.

“UN COMPLETO FALLIMENTO”

 

In otto sedute a Wall Street, First Republic Bank ha perso l’80 per cento del suo valore. Il rating è stato declassato fino al rango di “junk”, spazzatura. Gli azionisti scappano a gambe levate. Come Alecta, fondo pensionistico svedese attivo dal 1917, ha perso qualcosa come 680 milioni di euro pur di defilarsi, in fretta, da Frb. Il Ceo Magnus Billing, giusto una settimana fa, aveva bollato come “un completo fallimento” ogni investimento nel mercato bancario americano. Billing ha le sue buone, anzi ottime, ragioni per strillare contro le banche Usa. Gli svedesi hanno già dovuto fare i conti con perdite da 1,1 miliardi di dollari per aver scelto di investire in Signature e in Silicon Valley Bank. E dal momento che non c’è due senza tre, Alecta ha scelto di defilarsi prima del terzo crac, tentando così di limitare le perdite a “soli” 7,5 miliardi di corone svedesi. Ma gli investitori e le grandi firme della finanza americana vogliono reagire. E non ci stanno a perdere la faccia davanti ai risparmiatori e, soprattutto, davanti al mondo.

 

Il gioco si fa duro

 

Per salvare First Republic Bank è sceso in campo, in prima persona, il Ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon. Starebbe valutando un’alleanza tra Over the Top per tentare di dare un futuro alla banca californiana. Il Wall Street Journal è sicuro che l’impegno c’è. Bisognerà verificare se tanto sforzo porterà a una soluzione positiva. Per ora, non sembra che l’impegno abbia sortito effetti apprezzabili. I banchieri americani, infatti, hanno lanciato a Frb un salvagente da trenta miliardi di dollari. I mercati non hanno apprezzato, il titolo ha continuato a macinare perdite. Le agenzie di rating hanno storto il naso e continuano ad abbassare il rating della banca. I risparmiatori non sentono più ragioni e fanno la fila agli sportelli per recuperare i loro depositi. Finora, Frb ha perduto 70 miliardi di liquidità. Ora tocca alle lobby. E difatti si riunirà a Washington il Fsf, il Financial Services Forum, il gotha dell’alta finanza made in Usa. Ci saranno tutti. Attorno a Jp Morgan, sono attesi anche Goldman Sachs e Citigroup. Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. La posta in gioco è alta. Il crac delle banche regionali negli States può rappresentare un’opportunità di business per chi reggerebbe ad accollarsi rischi e debiti. Ma, sulla breve distanza, il pericolo è quello che il contagio non si fermi alla terza banca e inneschi una spirale di sfiducia, potenzialmente letale per la fiducia dei consumatori.

 

La mossa della Casa bianca

 

Il governo Usa, pertanto, è sceso in campo. Janet Yellen fa sul serio. Ha assicurato che la Casa Bianca “è pronta a fornire ulteriori garanzie sui depositi se la crisi bancaria dovesse peggiorare”. Washington, dunque, si prepara al peggio e lo fa annunciando sforzi sovrumani. “I passi che abbiamo compiuto non si sono concentrati sull’aiutare specifiche banche o categorie di banche – ha dichiarato Yellen – Il nostro intervento era necessario per proteggere il più ampio sistema bancario statunitense. Azioni simili potrebbero essere giustificate se le istituzioni più piccole dovessero subire corse di depositi che comportano il rischio di contagio”. L’obiettivo è chiaro: “Il Tesoro si impegna a garantire la salute e la competitività continue della nostra vivace comunità e delle istituzioni bancarie regionali”. Le parole del Segretario Yellen hanno sortito un effetto tonico sulla borsa Usa. Dow Jones, infatti, ha aperto la seduta in netto aumento e anche i titoli di First Republic Bank hanno fatto registrare un ottimo effetto rimbalzo che ha portato le azioni a guadagnare il 26% del loro valore.

 

Swift addio

Mentre in Occidente si fanno i conti con le perdite e i risparmiatori, da Los Angeles a Zurigo, in stile Fantozzi, sgranano rosarioni giganti in sala mensa per chiedere la grazia di non perdere tutti i risparmi di una vita, i Paesi disallineati si riorganizzano. E puntano al bersaglio grosso. La scelta di escludere la Russia dal circuito di pagamenti internazionale dello Swift, decisione che rientra tra le sanzioni per l’aggressione all’Ucraina, potrebbe essere alla base di un nuovo sistema bancario internazionale. Lo sperano, senza confessarlo, tra Mosca e Teheran. Già, perché anche l’Iran è fuori da Swift dal 2018. E, dal momento che l’unione fa la forza, Russia e Iran hanno scelto di allearsi. “Oggi, i sistemi di pagamento bancario di Iran e Russia sono già completamente collegati tra loro”, ha spiegato il ministro dell’Economia iraniano, Ehsan Khandouzi all’agenzia di stampa russa Ria Novosti: “Presto, le banche di entrambi gli Stati, avendo creato un’infrastruttura legislativa, saranno in grado di aprire conti per le loro società saremo in grado di integrare le nostre piattaforme bancarie per effettuare pagamenti, senza la necessità di utilizzare Swift o altri sistemi bancari per trasmettere informazioni ed effettuare pagamenti”. Inutile sottolineare che se il progetto avrà successo dipenderà dall’adesione di altri Stati. Paesi emergenti o potenze regionali stufe di vivere all’ombra. Che, da tempo, guardano con maggior favore all’asse Brics. La guerra non si combatte solo a colpi di cannone ma anche con economia e finanza.

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