Esteri

Non solo Azovstal, una guerra in stallo

L’acciaieria di Mariupol potrebbe avere le ore contate ma non c’è ancora l’ordine dell’assalto finale. Kiev sostiene di aver ripreso il controllo di 1.200 chilometri di confini

di Adolfo Spezzaferro -


“Non ci sono più civili, abbiamo le mani libere”: ore contate (forse) per i militari ucraini asserragliati nell’Azovstal, l’acciaieria di Mariupol nella morsa delle truppe russe da giorni. A dare l’annuncio di poter procedere con l’assalto finale sono le truppe separatiste filo russe del Donetsk, secondo cui all’interno del sito siderurgico – uno dei più grandi d’Europa – ci sarebbero circa 1.200 militari tra reggimento Azov, marine e altre truppe ucraine. Lo riporta l’agenzia russa Tass. Non è ancora chiaro però se al “via libera” dato dai filo russi seguirà di fatto un massiccio attacco all’Azovstal. Intanto registriamo la smentita rispetto a quanto dichiarato ieri dal presidente ucraino Zelensky, secondo il quale nell’acciaieria ci sarebbero ancora un centinaio di civili.

Altro fattore in gioco, a sentire l’intelligence del reggimento Azov, esisterebbe comunque una soluzione militare per sbloccare lo stallo nell’acciaieria.  “È possibile farlo con mezzi militari – sostiene Cyborg, nome di battaglia del responsabile dell’intelligence – ed è anche possibile con mezzi politici. Noi possiamo dire come farlo con le armi, ma ovviamente le informazioni su queste operazioni sono riservate”. Certo è che la questione dei civili e della loro effettiva presenza ancora all’interno del sito siderurgico è oggetto di disinformatia da entrambe le parti. In linea con la guerra della propaganda condotta di pari passo con quella sul campo. In generale la sostanza è un’altra: un attacco via terra ai militari all’interno dell’Azovstal con unità di fanteria comporterebbe un bagno di sangue. Per gli ucraini, che avranno banalmente anche approntato trappole con mine ed esplosivi, sarà infatti possibile sferrare attacchi di guerriglia urbana che mieterebbero molte vittime tra i russi.

In verità, a ben vedere, lo stallo si estende a tutto il conflitto, considerato che Kiev annuncia di aver ripreso il controllo su circa 1.200 chilometri di confini. Il dato viene fornito dalla Guardia di frontiera ucraina e riguarda “il confine nelle regioni di Kiev, Sumy e Chernihiv: per due terzi si tratta di confine russo”. Tuttavia, ammette il direttore del Dipartimento per la protezione delle frontiere di Stato, “il pericolo resta”. Ciò significa che i confini possono tornare rapidamente in mano russa. Altro stallo annunciato quello nella regione di Kherson, dove ci sono i prodromi di nuovi sanguinosi scontri. A stretto giro dall’annuncio dei residenti di voler entrare nella Federazione Russa, infatti, Kiev ha minacciato durissime rappresaglie.

“L’esercito ucraino libererà Kherson”, annuncia su Twitter Mykhailo Podoliak, consigliere del presidente Zelensky. “L’unico ricorso che i Gauleiter (capi delle sezioni locali del Nsdap, il partito nazista, ndr) della regione di Kherson possono preparare – minaccia Podoliak – è una richiesta di grazia dopo la sentenza del tribunale. Gli occupanti potrebbero chiedere di unirsi almeno a Marte o a Giove. L’esercito ucraino libererà Kherson, indipendentemente dai giochi di parole inventati dagli occupanti”. Podialak liquida così le informazioni diffuse dai media russi sull’intenzione dei residenti della regione di Kherson di fare appello al presidente russo Vladimir Putin affinché unisse il territorio alla Russia. Richiesta a cui ha replicato il portavoce del Cremlino Peskov, chiarendo che i diretti interessati “devono decidere da soli se entrare a far parte della Russia. Ma questa questione deve essere chiaramente verificata, avere una giustificazione legale ed essere legittima, come nel caso della Crimea”. Anche se, almeno a sentire Kiev, tutto questo non avverrà mai. Stallo, dunque. E gli Usa sono più che contenti.


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