Nuova sfida delle toghe, il caso Almasri riapre lo scontro con la politica
Non è solo una questione giudiziaria, ma un nuovo, potente scossone nel già logoro equilibrio tra poteri dello Stato. L’indagine sul mancato arresto del generale libico Almasri, poi archiviata per Giorgia Meloni e non per altri ministri, accende il dibattito istituzionale e politico, riportando al centro della scena la solita domanda: la magistratura sta varcando i confini della politica?
Il verdetto del tribunale dei ministri che salva la premier, ma apre la strada alla richiesta di autorizzazione a procedere contro il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e degli Interni Matteo Piantedosi, segna un passaggio delicato. “Assurdo”, lo definisce la stessa Meloni, evidenziando il paradosso di un’azione che giudica collegiale solo in parte, come se la regia del governo fosse a geometria variabile.
Dunque, la Procura di Roma sale sul palco della politica? Nel mirino, le parole del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi, che ha evocato il nome di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, pur senza che la sua figura compaia in alcun atto ufficiale. Un riferimento che ha fatto infuriare Tajani: “Se non è citata in alcun documento, come fa Parodi a parlarne? Sa qualcosa che non sappiamo? Siamo forse davanti a una violazione del segreto istruttorio?”.
Il vicepremier parla di “una vendetta” contro magistrati non allineati, e rimette al centro della scena politica un conflitto antico ma mai sanato: quello tra toghe e governo. Nel palazzo si respira tensione. Da una parte c’è l’amarezza dei diretti interessati, dall’altra l’irritazione della premier, che nella sua reazione punta il dito contro l’incoerenza logica e giuridica del provvedimento. Ma più che il merito delle singole responsabilità, a preoccupare è il principio: un organo giudiziario che si arroga il potere di valutare le scelte discrezionali del governo, come se spettasse ai magistrati dire quando e come lo Stato debba arrestare o meno un esponente di un Paese estero con ruolo diplomatico.
Nordio è netto: “La giustizia penale non può invadere la sfera politica”. Il Guardasigilli, da sempre critico verso una magistratura militante, legge in questa vicenda un precedente pericoloso. E non è il solo. Al ministero dell’Interno, così come a Palazzo Chigi, si teme che dietro la schermaglia giudiziaria si nasconda un tentativo più ampio di delegittimazione del potere esecutivo.
Il caso Almasri
Il caso Almasri è esploso il 25 gennaio scorso. Il generale libico, responsabile della polizia di frontiera e accusato da molte Ong di torture nei lager libici, era in Italia per partecipare a un vertice internazionale sulla migrazione. L’Interpol aveva emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti, ma tornò in patria senza che scattasse alcuna misura cautelare. La procura di Roma aprì un fascicolo, rimbalzando la responsabilità su Palazzo Chigi e i ministeri competenti. E oggi, con la premier archiviata e i ministri invece destinati a un eventuale passaggio parlamentare per l’autorizzazione a procedere, si consuma l’ennesimo cortocircuito tra giustizia e politica.
La premier gioca d’anticipo: “Un colpo basso, non arretriamo”. Convoca d’urgenza una riunione con i vertici della maggioranza. Accanto a lei Mantovano, Nordio, il ministro Piantedosi. “Scelte collegiali, responsabilità collegiali”, ripete. Nel mirino non c’è solo l’impianto accusatorio. C’è il sospetto, mai espresso in modo diretto ma percepibile, che parte della magistratura stia giocando una partita tutta politica.
Non passa giorno che le misure politiche dell’esecutivo non siano osteggiate dai giudici. Nel centrodestra si pensa che la magistratura punti a indebolire l’autorità del Governo in un momento in cui la gestione dei flussi migratori torna centrale nel dibattito europeo. “Se il presidente del Consiglio viene archiviato e i suoi ministri no, chi decide davvero nel governo?”, si chiede retoricamente FdI? Il punto è esattamente questo: l’azione politica come scelta corale viene smembrata, dissezionata da chi, pur dovendo restare al di fuori delle logiche di governo, finisce per determinarne l’agibilità. Per il Governo è l’ennesima invasione di campo.
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