Politica

Oggi Meloni a Tripoli per il gas ma si rischia che siano solo promesse

di Ivano Tolettini -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO


Non solo gas e petrolio. La missione libica al massimo livello politico che sarà guidata oggi dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha un doppio obiettivo. Naturalmente di tipo economico, ma anche volta a tutelare la sicurezza italiana nel tentativo di controllare le partenze di migranti verso le nostre coste limitando gli interessi delle organizzazioni criminali transnazionali. Il viaggio che compie la delegazione italiana a Tripoli mira a siglare una serie di accordi per lo sviluppo dei giacimenti di gas nelle acque internazionali controllate da Tripoli, al largo dei porti petroliferi di Mellitah e Zawiya, oltre al perfezionamento dei contratti per lo sfruttamento dei pozzi di idrocarburi tra la National Oil Corporation libica (Noc) e l’Eni, per incrementare le forniture dopo l’aggressione russa a Kiev il 24 febbraio 2022. È un affare energetico, com’è stato ricordato in questi giorni, da almeno 8 miliardi di euro. Inoltre, lo scopo della missione è di stringere un’intesa con il governo di Abdul Hamid Dbeibah, che guida una coalizione di unità nazionale sul 20% del territorio libico – il restante 80% è controllato dalle milizie del generale Khalifa Haftar con l’appoggio di Russia, Egitto ed Emirati Arabi a sostegno del governo di Fathi Bashagha -, per contenere quei flussi migratori verso le coste tricolori grazie ad adeguati sostegni tecnici e di intelligence. Di qui la presenza anche del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, nella delegazione guidata dalla premier Meloni con la presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e del ceo di Eni, Claudio Descalzi, che a Tripoli ha lo scopo di dare nuova linfa agli interessi italiani con incontri strategici su più piani. Anche con forniture tecnologiche.

STORICO

I componenti della delegazione italiana, a cominciare dalla premier, useranno l’aggettivo “storico” per definire il panorama in cui si siglano gli accordi tra la compagnia energetica italiana e la Noc libica. Per comprendere la complessità dello scacchiere, che appare relativamente tranquillo rispetto a un anno fa, lo scorso luglio è stato firmato un patto segreto tra il generale Haftar e il premier tripolitano Dbeibah per la nomina di un nome condiviso, come il manager Farhat Bengdara, alla direzione della compagnia Noc in sostituzione del divisivo Mustafa Sanallah . Del resto in nome degli affari i governi di Tripoli e Bengasi possono trovare un equilibrio di reciproco tornaconto. La Libia è considerata un petrostato perché oltre il 97% dei ricavi statali deriva da petrolio e gas. Domani saranno resi noti alcuni dettagli, al di là delle dichiarazioni dei protagonisti, dell’intesa miliardaria che è ritenuta tra i più grandi investimenti nel settore degli idrocarburi libici dopo il crollo del regime di Muhammar Gheddafi nel 2011. La circostanza che a siglarla sia l’Italia, per la quale il rapporto con la Libia da inizio Novecento è sempre stato contrastato e di impronta colonialista, è un fatto positivo. Non sfugge, inoltre, che l’accordo bilaterale coincide con il lancio del «piano Mattei» da parte della premier Meloni per imprimere un’ ulteriore accelerazione ai rapporti con il Nord Africa, dopo i buoni risultati conseguiti dal governo Draghi l’anno scorso che hanno consentito al nostro Paese di emanciparsi dal gas russo.

ENI E BENGASI

A rinsaldare il rapporto tra le due sponde del Mediterraneo il fatto che Eni è l’unica azienda energetica internazionale a non aver mai lasciato la Libia nemmeno nella fase più calda della guerra islamica. Grazie al fondatore della compagnia Enrico Mattei è presente in Libia dal 1959 e opera in joint venture con la compagnia Noc, che è diventata il forziere di entrambi i contendenti Haftar e Dbeibah, e questo spiega la riservatezza che circonda l’accordo estivo tra i due . Ma anche spiega perché Meloni abbia deciso di volare a Tripoli, grazie al lavoro fondamentale della Farnesina, che in queste settimane col ministro Tajani ha parlato anche con Haftar. Non va scordato che il governo di Tripoli rappresenta la Libia all’Onu e all’Unione Africana ad Addis Abeba in Etiopa. Per questo la decisione di Meloni di rapportarsi inizialmente con il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, che è appoggiato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, è propedeutica a un secondo passaggio con Bengasi che, pur essendo sostenuta dalla Russia, ha a sua volta tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con Roma. Stabilizzare la Libia è interesse non solo dell’Italia ma anche di Bruxelles, perché è lapalissiano che senza stabilità non si possono contrastare e gestire efficacemente i flussi migratori oltre che garantire gli approvvigionamenti energetici. In questa fase, però, non si parla di un ritorno alle urne in Libia dove non si vota dal 2014, perché sia Haftar che Dbeibah sanno che le elezioni potrebbero indebolirli. Tenuto poi conto che per limitare il fenomeno del terrorismo islamico ancora presente in Libia e per contrastare le organizzazioni criminali che alimentano la tratta dei migranti ci vuole quella stabilità in cui Roma può giocare un ruolo non secondario. Grazie proprio all’Eni che con la sua tecnologia estrattiva può distribuire un sacco di soldi ed essere strategica per la mezzaluna del petrolio di Bengasi che alimenta i porti di Es Sider, Ras Lanuf, Zueitina, Brega e Hariga. Gli altri due, come detto di Mellitah e Zawiya, sono controllati da Tripoli. Ma in nome dei petrodollari si possono superare molti ostacoli. Come sta avvenendo dall’estate. E in vista della missione di Meloni, ieri il ministro degli esteri di Tripoli, Naglaa Mangoush, ha incontrato l’ambasciatore italiano, Giuseppe Buccino Grimaldi, per discutere “i dei preparativi logistici della visita della delegazione di alto livello guidata dalla presidente del Consiglio italiano”. Di certo l’Italia tenta di ritagliarsi uno spazio per il processo di pace in Libia, che appare ancora di là da venire per i tanti interessi in gioco, che è propedeutico alle elezioni. Per la premier Meloni una prova di maturità affinché non siano solo promesse.

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