Cronaca

Olindo, Rosa e il giallo dell’eredità la versione di Azouz già smentita rischia di riaprire il processo

di Rita Cavallaro -


La strage di Erba infinita. A far rivoltare nella tomba le vittime non c’è solo il nuovo capitolo che riguarda direttamente gli assassini Olindo Romano e Rosa Bazzi, che potrebbero ottenere la revisione del processo. Ma perfino la condotta di Azouz Marzouk, il tunisino marito di Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef, sul quale nelle ore successive alla mattanza si erano concentrati i sospetti, visti i suoi precedenti per droga che lo avevano portato in galera, da cui era uscito grazie all’indulto. Azouz venne poi subito scagionato, poiché aveva un alibi di ferro, dato che si trovava in Tunisia la sera dell’11 dicembre 2006, quando i pompieri intervennero per un incendio in un appartamento della corte di via Diaz e scoprirono un massacro.

CACCIA ALL’UOMO

A terra, in casa Castagna, tre cadaveri: quello di Raffaella, 30 anni,
martoriata e sgozzata, così come sua madre Paola Galli, di 70, mentre il suo bambino fu trovato ucciso con la gola tagliata sul divano del salotto. Sul pianerottolo, in una pozza di sangue, il condomino 65enne Mario Frigerio, esanime ma ancora vivo, sopravvissuto allo sgozzamento grazie a una malformazione congenita alla carotide. Sul muro le impronte palmari insanguinate, che portarono i soccorritori nell’appartamento di Frigerio, dove la moglie Valeria Cherubini, 55 anni, era stata massacrata con quarantatré coltellate e un profondo fendente alla gola così violento da tagliarle la lingua. La caccia all’uomo si concluse quando gli inquirenti trovarono sul battitacco dell’auto di Olindo e Rosa una piccola macchia di sangue, il cui dna era riconducibile a Valeria Cherubini. E quando anche il marito Mario Frigerio, ripresosi dal trauma in ospedale, puntò il dito contro il netturbino del piano terra, riconoscendolo come il suo aggressore, il cerchio si chiuse sui coniugi Romano, i quali, di fronte alle risultanze investigative, crollarono, confessando gli omicidi, per poi ritrattare al cambio della strategia investigativa. Nonostante le nuove versioni dei coniugi, che sostengono di essere stati indotti dagli inquirenti a confessare in cambio di una cella matrimoniale in carcere, ben ventisei giudici in tre processi hanno ritenuto solido l’impianto accusatorio e si sono pronunciati per la condanna all’ergastolo. Un impianto inizialmente condiviso da Azouz Marzouk, che a un tratto, però, ha cambiato idea, cavalcando una fronda innocentista che, prendendo in considerazione gli elementi investigativi decontestualizzandoli dalla ricostruzione del delitto, ha seminato una serie di dubbi sulla colpevolezza dei coniugi e ha perfino addensato le ombre sui Castagna.

LA FAIDA

Ed è proprio la faida tra Azouz e la famiglia della moglie che ha portato alla condanna del tunisino per diffamazione aggravata. Il giudice di Como Veronica Dal Pozzo, nelle motivazioni con cui ha inflitto la pena di due anni e mezzo di carcere a Marzouk, ha ritenuto la condotta diffamatoria del marito e padre delle vittime “di gravità estrema”, con insinuazioni che hanno alimentato la corrente innocentista sulla strage di Erba, e la denigrazione delle parti offese “già una prima volta stravolte dall’efferato omicidio dei loro familiari, e nuovamente travolte dalla impressionante risonanza mediatica delle infondate accuse a loro rivolte”. Il riferimento è agli ex cognati del tunisino, Beppe e Pietro Castagna, fratelli di Raffaella, che a seguito di alcune dichiarazioni di Azouz alla stampa avevano presentato denuncia nei suoi confronti. Le frasi diffamatorie che hanno fatto propendere per la condanna erano state rilasciate al quotidiano Il Giorno, nel febbraio 2019, quando Azouz, ormai convinto che Olindo e Rosa fossero reclusi da innocenti, ha dichiarato: ““Indagate sulla famiglia. Mio figlio Youssef conosceva l’assassino. Lo ha ucciso qualcuno vicino a mia moglie. Basta leggersi le carte per capire che qualcuno voleva l’eredità di mia moglie”. Insomma, per il tunisino a ordinare la strage sarebbero stati addirittura i cognati, principalmente Pietro, due uomini sfortunati che, in un solo colpo hanno perso la madre, la sorella e il nipotino, mossi, sempre secondo le illazioni di Azouz, da un odio verso di lui, non avendo mai accettato la relazione con la sorella, e dalla brama di non dover dividere con il vedovo neppure un euro dell’eredità. Congetture diffamatorie prive di ogni fondamento, come si evince proprio dalle migliaia di pagine che Azouz dice di aver letto e che argomentano, soprattutto in Cassazione, qualsiasi criticità o motivo di illegittimità sulla base del quale il team difensivo dei coniugi Romano ha tentato di annullare la condanna. Il giudice Dal Pozzo, nelle motivazioni della sentenza di condanna per diffrazione a Marzouk, ha sottolineato lo “speciale disvalore” del comportamento del tunisino sotto due profili: “Non solo che l’accusa provenisse da loro stesso cognato, ma anche e soprattutto che si sia inserita nel fluire di una corrente innocentista e revisionista del processo, risolvendosi in una vera e propria campagna di disinformazione, fatta di sibilline allusioni ed eclatanti denigrazioni, brutalmente lesiva della reputazione dei fratelli Castagna“. Un condotta, aggiunge ancora, compiuta “nella consapevolezza della falsità delle accuse loro rivolte”.

IL DEPISTAGGIO

E non sarebbe certo la prima, come emerge dalle carte dell’inchiesta, in cui i giudici reputano privo di credibilità il racconto di un fantomatico testimone, un certo Ben Brahim Chemcoum, un senza fissa dimora tunisino amico di Azouz, spacciatore clandestino in Italia dal ’95 e, stranamente, rientrato in fretta e furia in Tunisia dopo la sua deposizione, avvenuta il giorno seguente alla strage, quando si era presentato dai carabinieri fornendo un nome falso e tentando di allontanare i sospetti dal giro tunisino dello spaccio, per instradare le indagini addirittura verso la famiglia delle vittime. Nel verbale, usato dalla difesa dei Romano per aumentare ancor più i dubbi, il pregiudicato, espulso dal Paese dopo un periodo di detenzione e mai chiamato a deporre a processo, racconta di aver visto cinque persone al momento dell’incendio nella corte di via Diaz. Dichiara il fantomatico Chemcoum: “Transitavo davanti al ristorante presente sopra la piazza e precisamente a fianco ad un’autovettura di cui non ricordo il modello ed un furgone di colore bianco, alto, con a bordo forse due o più persone che stavano parlando. Le voci erano entrambi maschili. Dal furgone ho sentito distintamente proferire la parola “benzina”… ho incrociato una persona di sesso maschile, molto robusto, con il cappotto chiuso e con le mani in tasca, con una berretta scura che gli copriva le orecchie; per quanto ho visto io, la persona aveva la barba biondiccia, lunga. Lo stesso camminava con un passo affrettato e quando mi ha visto mi ha salutato con un “buonasera”, mi sembra in italiano… Mi sono girato per guardarlo in faccia e quell’uomo ha fatto una specie di sorriso, forse una smorfia. Io ho pensato che fosse matto… Mi sembra di aver già visto la persona con la barba, forse cinque o sei giorni prima, nella scala dove c’è il portone dove è successo il fatto… assieme ad un’altra persona che parlava con lui e diceva “quando sali dalla scala” o qualcosa del genere. La persona che ho visto sulla scala mi sembra di averla rivista in questa caserma, quando sono venuto in compagnia di Azouz e del fratello. Ho visto tale persona di profilo, cioè da dietro e mi sembra che fosse lo stesso che avevo visto nella scala. In quell’occasione, il fratello di Azouz mi disse che tale persona era il fratello della morta. Lo stesso mi sembra lui per la corporatura robusta e per la barba ed anche perché i capelli di lato erano più folti di quelli sopra la testa. Ripeto: la persona che ho visto nella scala e quella che ho visto in caserma mi sembrano la stessa persona o comunque, anche se non posso esserne certo al cento per cento, ne sono quasi sicuro. Tale persona mi sembra ancora potrebbe essere colui che ho visto nella piazza del mercato, con il cappello in testa, e che ho descritto sembrarmi matto”. Quella persona, secondo il verbale dell’amico di Azouz Marzouk, sarebbe Pietro Castagna, che ormai da anni è ingiustamente oggetto dei sospetti del cognato indesiderato e della schiera di innocentisti fomentata dal tunisino, sempre più convinto che Rosa e Olindo siano stati incastrati. Eppure i carabinieri hanno vagliato le dichiarazioni di Chemcoum, senza trovare alcun riscontro alle fantasiose dichiarazioni. L’unica certezza sul fantomatico testimone è che era stato portato in caserma per la testimonianza proprio da Azouz.

Torna alle notizie in home