Esteri

Omicidio Attanasio In sei condannati all’ergastolo

di Martina Melli -


I sei responsabili dell’omicidio dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, sono stati condannati all’ergastolo.
Il tribunale militare di Kinshasa-Gombe, dove è stata letta la sentenza, ha riconosciuto all’Italia un risarcimento, a carico dei condannati, pari a due milioni di dollari. Il pubblico ministero aveva chiesto la pena di morte che è poi stata trasformata in ergastolo.L’attacco risale al febbraio 2021, quando Attanasio e gli altri due uomini stavano viaggiando su un convoglio dell’ONU lungo la strada che collega le città di Goma e Rutshuru, nella parte orientale del Paese. In quell’area da molti decenni vanno avanti guerre, conflitti etnici e invasioni da parte degli stati confinanti.
Processati per omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra, i sei congolesi durante le udienze erano stati descritti dall’accusa come componenti di una “banda criminale” dedita alle rapine di strada e che voleva rapire l’ambasciatore a scopo di riscatto. Dei sei uomini condannati, solo cinque erano presenti al processo. Mancava Marc Prince Nshimimana, che secondo la procura congolese era il capo della banda criminale: non è mai stato arrestato ed è stato condannato in contumacia per omicidio. I cinque uomini, arrestati nel gennaio dell’anno scorso, dopo iniziali ammissioni si erano poi dichiarati innocenti sostenendo di essere stati spinti a confessare con la violenza, circostanza negata dall’accusa. Due dei testimoni oculari, entrambi funzionari del Pam, facenti parte del convoglio sui cui racconti è stata ricostruita la dinamica dell’attacco, sono ad oggi indagati dalla procura di Roma per “omessa cautela”, perché non avrebbero messo in campo le necessarie tutele volte a garantire l’incolumità dell’ambasciatore e del convoglio delle Nazioni unite su cui viaggiava, in un’area e lungo un percorso notoriamente pericolosi.
Il 43enne, sposato con tre figli, era dal 2017 capomissione dell’Italia a Kinshasa ed era stato nominato ambasciatore nel 2019.
“Mi sento sollevata che la condanna per l’omicidio di mio marito non aggiunga altra violenza alla violenza.” ha commentato la vedova di Attanasio, Zakia Seddiki. “Oggi come prima cosa mi sento ringraziare dal profondo del cuore tutte le persone che hanno firmato la petizione contro la pena di morte che ho lanciato e le istituzioni che hanno appoggiato questa richiesta.” “Noi aspettiamo ancora la verità”, il commento di Salvatore, padre dell’ambasciatore, subito dopo la sentenza. All’Ansa, ha detto di non credere alla versione di un tentativo di rapimento. Per questo, il suo auspicio è che il processo che si aprirà in Italia, il prossimo 25 maggio, nei confronti di due funzionari del Pam, possa condurre a un’altra verità giudiziaria. “Penso che l’Italia debba pretendere la verità perché Luca era il suo ambasciatore: rappresentava tutti noi. Non è solo un problema della famiglia. Questo non è un fatto di cronaca, ma un fatto politico e di Stato e lo Stato deve reagire”. “Se sono stati loro” ha concluso parlando dei 6 uomini “sono stati gli esecutori di un omicidio. Il nostro obiettivo è la verità e per questo bisogna scavare più a fondo”.
“Non è certo che finora sia emersa tutta la verità”, ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia. “Condivido – aggiunge Noury – lo stato d’animo del padre dell’ambasciatore Attanasio che si pone dubbi rispetto all’assenza di mandanti ancora in questa fase processuale e sul rischio che questa vicenda si concluda con una verità giudiziaria alquanto incompleta. L’unico fatto positivo – sottolinea Noury – è che è stata comunque accolta la richiesta del papà di Attanasio di non emettere le condanne a morte, importante a maggior ragione perché non è certo che finora sia emersa tutta la verità”.


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